Le monete digitali non sono più investimenti da relegare nelle cronache finanziarie alla mala in rete o a qualche “geek”. Il loro valore di capitalizzazione è salito a 100 miliardi di dollari, che se ancora rappresenta una frazione infinitesimale delle dimensioni dei mercati finanziari “tradizionali”, non può nemmeno essere considerato un fenomeno secondario. La “criptomoneta” più popolare si chiama Bitcoin e da sola vale quasi la metà di questo segmento del mercato, per una capitalizzazione sui 44,5 miliardi, seguita da Ethereum, a quota 31,5 miliardi.
Se i prezzi dei Bitcoin sono esplosi del 200% quest’anno, ancora meglio è andata a Etherum, che in meno di sei mesi è passata da 8,40 a 340 dollari, segnando guadagni del 4.000%. Cifre sbalorditive, che stanno avvicinando anche potenziali investitori meno avvezzi al rischio, nel tentativo di impadronirsi di almeno una piccola fetta del successo recente delle monete digitali.
Eppure, se c’è un fatto che mercoledì notte ci ha confermato è che i cuori deboli non dovrebbero prendere alla leggera un investimento nelle “criptomonete”. E’ accaduto, che in pochi istanti, il prezzo di un’unità di Ethereum sia crollato da 317 dollari ad appena 10 centesimi, praticamente azzerandosi. Per fortuna, dopo pochi attimi, il valore degli Ethereum si è riportato in linea ai livelli pre-crollo e attualmente si attestano sui 340 dollari.
Cos’è successo mercoledì notte?
Che cos’è successo? In gergo, è quanto gli analisti chiamano “flash crash”, ovvero un tonfo istantaneo, che quasi sempre ha dietro motivazioni tecniche. Nel caso specifico, la piattaforma di trading GDAX, stando al suo vice-presidente Adam White, aveva ricevuto un “ordine multi-milionario di vendita” (si vocifera sui 30 milioni di dollari), con la conseguenza che, essendo i volumi negoziati relativamente bassi (si faccia caso che siamo di notte), esso ha spinto i prezzi in giù fino a 224,48 dollari, ma con la conseguenza di fare scattare ben 800 “stop loss”, ovvero quei meccanismi automatici, per cui un investitore, non potendo trascorrere tutta la giornata dinnanzi allo schermo per monitorare l’andamento dei prezzi, si affida a uno strumento elettronico, fissando il prezzo minimo, toccato il quale automaticamente la sua posizione verrebbe liquidata.
In pratica, 800 casi di stop loss avrebbero fatto schiantare i prezzi, pur per pochi attimi, fino a un minimo di 10 centesimi. Beato chi in quel momento sia stato in grado di approfittare del flash crash, visto che in pochi istanti avrebbe realizzato un guadagno del 326.000%! Dunque, ragioni prettamente tecniche, che non riguardano i fondamentali della moneta digitale, ma che non per questo non provocano minori danni ai possessori.