Non è più tempo di illusioni. L’Unione Europea non avrà un amico alla Casa Bianca per i prossimi anni. La vittoria di Donald Trump, per quanto ampiamente attesa, scombina diversi piani a Bruxelles, costretta a rivedere diverse sue posizioni. Due i capitoli su cui saranno accesi sin da dubito i riflettori: Ucraina e dazi. Il presidente eletto chiede che gli alleati della Nato destinino almeno il 2% del Pil alla spesa militare, come da accordi. Ma il piatto piange. I governi comunitari sono costretti a ridurre i deficit di bilancio e i margini per ottemperare alla richiesta degli Stati Uniti sono molto stretti, per non dire nulli.
Eurobond per sgravare i bilanci nazionali?
Tanto per fare un esempio, l’Italia dovrebbe aumentare il proprio budget in favore della difesa di oltre 10 miliardi di euro all’anno. Commentando il risultato elettorale, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, si è chiesto come sia possibile aumentare la spesa militare contestualmente alla necessità di tagliare il deficit, come richiesto da Bruxelles. Per questo ha prospettato la soluzione di tenere questa voce del bilancio all’infuori del calcolo ai fini del Patto di stabilità.
Nord Europa contrario a debito comune
Una soluzione percorribile, ma il guaio è che il deficit salirebbe ugualmente. Anche se tollerato dalla Commissione, non è detto che lo stesso farebbero i mercati finanziari. Anche perché la difesa non è l’unica voce di spesa da aumentare. Ci sono gli investimenti legati alla transizione energetica da finanziare. Con il ritorno di Trump o si mette mano al complesso delle regole già approvate per rallentarne l’attuazione o bisognerà prendere atto che non vi siano margini fiscali nei bilanci degli stati nazionali.
Con gli Eurobond l’Unione Europea riuscirebbe ufficialmente a tenere ferme le sue posizioni.
Unione Europea al test di sopravvivenza
Il punto è che per l’Unione Europea la questione è di vita o di morte. Senza Eurobond non ci sarà alcuna capacità di reazione comune alle sfide che la nuova amministrazione americana porrà ai suoi stessi alleati. Pur restando forza fondamentale dell’area, la Germania non è la leader di un tempo. Ha un governo debolissimo e rischia di avere instabilità politica anche dopo le prossime elezioni, anticipate o meno che saranno. Intanto, la Francia è entrata da mesi nel mirino dei mercati per i suoi squilibri fiscali. L’asse franco-tedesco traballa o, per essere più precisi, ancora esiste, ma conta molto meno che in passato.
Il Rapporto Draghi è stato cestinato un secondo dopo essere stato presentato dal suo relatore. Troppo centralistico, burocratico e scarsamente politico, anche se l’analisi delle criticità europee era azzeccata. Gli Eurobond erano stati prospettati dall’ex premier italiano, pur non citati con il proprio nome. Dalla Commissione stessa è arrivata nelle scorse settimane l’apertura a un prolungamento delle emissioni anche dopo la fine del Next Generation EU, così da garantire maggiore liquidità e certezze al mercato.
Eurobond tema controverso
Il problema vero degli Eurobond, tuttavia, è un altro. Trattandosi di debito comune, in assenza di entrate proprie è come se non avesse un padre e una madre.