Torna la crisi del grano in Europa, anche se stavolta le ragioni sono esattamente opposte a quelle che l’anno scorso portarono all’esplosione dei prezzi internazionali. Polonia, Ungheria e Slovacchia hanno chiuso le frontiere alle importazioni dall’Ucraina. Romania e Bulgaria valutano di fare lo stesso. La Commissione europea è in allarme e avverte gli stati dell’Europa Orientale che le politiche commerciali sono decise solo a Bruxelles. Ma non ha forzato la mano contro l’asse “anti-ucraino”, per il momento varando un piano di aiuti di 56 milioni di euro a favore degli agricoltori dell’Unione Europea colpiti dalla crisi.
Sembra paradossale che ad assumere una simile decisione sia stata la Polonia del premier Mateusz Morawiecki, impegnata in prima fila a sostenere l’Ucraina di Volodymyr Zelensky contro l’invasione russa. Tuttavia, il 6 aprile scorso il ministro dell’Agricoltura, Henryk Kowalczyk, è stato costretto alle dimissioni da furenti proteste di piazza contro il collasso dei prezzi del grano. E’ stato sostituito da Robert Telus, che ha subito inteso cambiare musica.
Grano divide Polonia da Ucraina
Cerchiamo di capire cos’è accaduto. All’indomani dell’invasione, la Russia introdusse il blocco navale che impedì all’Ucraina di esportare all’estero le proprie merci, tra cui il grano. I prezzi s’impennarono, culminando nel mese di maggio in un +170% su base annua. Per arginare il rischio di una crisi alimentare europea e nel resto del globo, l’Unione Europea adottò due misure urgenti: aprì le frontiere con l’Ucraina per consentire alle sue derrate di essere trasportate negli stati comunitari; azzerò i dazi su tali merci, al fine di comprimere i prezzi.
Effettivamente, l’operazione funzionò. Anche troppo. Le importazioni di grano dall’Ucraina verso l’Unione Europea decuplicarono dalle 287.000 tonnellate del 2021 alle 2,9 milioni di tonnellate del 2022.
Fatto sta che attualmente i prezzi della farina sono scesi del 36,5% su base annua e ai minimi da venti mesi a questa parte. Per i consumatori è certamente un bene, non per i produttori, che specie nell’Est Europa stanno protestando vivacemente. Se Bulgaria e Romania si aggiungeranno agli altri stati che già hanno chiuso le frontiere commerciali all’Ucraina, il grano non avrà più modo di accedere sul mercato europeo. La decisione di Polonia e Ungheria è temporanea, in quanto dovrebbe essere mantenuta fino alla fine di giugno. Giusto il tempo di consentire a Bruxelles di trovare una soluzione. I due paesi non chiedono indennizzi europei, bensì che il problema sia risolto alla radice. Tra l’altro, vorrebbero che Bruxelles si adoperasse per fare circolare le merci in ingresso nell’Unione, evitando che restino bloccati nei mercati di frontiera.
Sicurezza alimentare fonte di preoccupazione
Nel frattempo, la Slovacchia ha vietato le importazioni di grano ucraino per ragioni di sicurezza alimentare, trovandovi sostanze potenzialmente nocive per i consumatori. Polonia e Ungheria lamentano, in effetti, che il problema sia duplice: i bassi prezzi del grano ucraino rendono non competitive le rispettive produzioni nazionali, ma sarebbero possibili solo grazie all’uso di sostanze durante la coltivazione da tempo vietate nell’Unione Europea. Il problema si sta ponendo tra l’altro in conseguenza dell’uso possibile di armi chimiche e nucleari sul territorio ucraino, le quali contagerebbero le coltivazioni attraverso l’inquinamento del suolo.
La solidarietà di Varsavia verso Kiev resta intatta, anche se il governo di Zelensky ha biasimato la decisione con un comunicato ufficiale in cui riconosce i problemi accusati dagli agricoltori polacchi, ma fa notare come quelli degli ucraini siano al momento più gravi. Una materia complessa, tra geopolitica e difesa degli interessi nazionali non combacianti al momento. Di certo c’è che l’ultima cosa di cui le famiglie europee avrebbero bisogno dopo tre anni di pandemia e guerra, sarebbe che i prezzi dei generi alimentari prendessero una nuova rincorsa proprio ora che l’inflazione inizia a rallentare.