Che fine ha fatto Greta Thunberg? La risposta è che non interessa più a nessuno, compresi i suoi sfegatati sostenitori della prima ora. La ragazzina svedese dalle bionde trecce in sciopero a scuola per il clima è stato il simbolo di una battaglia ideologica combattuta a colpi di catastrofismo ed estremismo verbale e programmatico, trasformati in breve tempo e colpevolmente da una classe politica europea inetta in vera e propria agenda. Il Green Deal è stato il trionfo dell’ambientalismo bieco, quello per cui la transizione energetica può e deve passare sopra qualsivoglia interesse economico e sociale.
Elettori stanchi del catastrofismo
Un catastrofismo ipocrita, dato che l’Europa incide per appena l’8% dell’inquinamento globale e il restante 92% è provocato da stati che ridono stupiti del nostro autolesionismo. Nel nome della transizione energetica paesi come l’Olanda hanno imposto l’abbattimento di un terzo degli allevamenti (dove sono gli animalisti duri e puri?), stringenti limitazioni agli agricoltori e l’Europarlamento vorrebbe vietare a tutti i cittadini sin dal 2035 di acquistare auto che non siano elettriche. Peccato che le componenti e le materie prime per la loro produzione le abbiano economie rivali come la Cina. Per non parlare dell’obbligo di ristrutturare casa per elevarne la classe energetica. Costi incommensurabili a carico dei cittadini, senza che nessuno si curi come potranno sostenerli.
Un’agenda più mentalmente squilibrata di così era impossibile immaginarla. I segnali di una rivolta c’erano tutti e alle urne è stata espressa con la bocciatura di Verdi e socialisti, sponsor della nuova ideologia anti-capitalistica sotto mentite spoglie. I trattori avevano marciato sulle autostrade tedesche nei mesi invernali e, anziché capire le ragioni della protesta, la politica a Berlino si era strappata i capelli per l’impossibilità del vice-cancelliere di scendere dal traghetto, di ritorno da una mini-vacanza.
PPE correo del grande pasticcio
Nel nome della transizione energetica l’industria europea è stata picconata per favorire nuovi business fiorenti in Asia o tutt’al più in Sud America. Il Partito Popolare, che adesso cerca di tirarsi fuori dai pasticci, ha assecondato tale visione folle per ragioni di alleanza con i socialisti, ma soprattutto per lo spostamento a sinistra che ha registrato nella lunga era Merkel. E’ diventato il replicante delle posizioni socialiste e vive nel timore di essere etichettato dalla sinistra come “conservatore” o “reazionario”.
In questa nuova legislatura il Green Deal non sarà più riferimento programmatico della Commissione. Specialmente se in Francia vincerà la destra alle elezioni anticipate di fine giugno. Neppure il cancelliere Olaf Scholz riuscirà più ad imporre ai tedeschi la transizione energetica a tappe forzate. I Verdi potranno puntare i piedi quanto vorranno, ma gli alleati non posseggono la forza per assecondarli. L’economia tedesca ha sofferto e continua a soffrire più delle altre delle scelte scellerate dei suoi politici. La produzione industriale arretra e i prezzi salgono. La temuta inflazione ha fatto la sua comparsa dopo la pandemia e non vuole smontare le tende.
Transizione energetica, clima di reflusso
Il disastro compiuto in questi anni sta già riportando i governi con i piedi per terra. Il furore ideologico sarà rimpiazzato senza troppi complimenti da un approccio più pragmatico. A sinistra cercheranno di propinare i provvedimenti sulla transizione energetica già approvati come grandi conquiste senza alternative per l’umanità. Il dibattito non è ammesso da quelle parti, perché l’ideologia non si discute. Fu così fino alla caduta del Muro negli ambienti comunisti.