Eurovita è entrata in amministrazione straordinaria dall’1 aprile. Il blocco dei riscatti delle polizze durerà fino al 30 giugno, il tempo considerato necessario per mettere a punto un piano di sicurezza della compagnia assicurativa. Piano, che ha iniziato a concretizzarsi negli ultimi giorni di marzo, allo scadere dei quasi due mesi di commissariamento deciso dall’IVASS. Banche e assicurazioni italiana hanno compreso meglio cosa vi sia in gioco, dopo il crac di due banche americane e il caso Credit Suisse. Le big di ciascuno dei due settori ritengono che vada trovata una soluzione di sistema.
Ed ecco che una delle due soluzioni allo studio consisterebbe in un prestito bancario di 2 miliardi di euro. Dovrebbero bastare a coprire i riscatti delle polizze Eurovita dopo il 30 giugno. Dovrebbero, ma solo nel caso in cui i clienti restassero calmi. Le masse gestite ammontano, infatti, a più di 15 miliardi di euro, di cui 9 afferiscono alla gestione separata e altri 6 alle polizze unit-linked. In pegno alle banche andrebbero i titoli di stato sottostanti agli investimenti.
Riscatti Eurovita, scendono in campo le big assicurative
Avanza quindi un’ipotesi alternativa e, probabilmente, la più realistica: scorporare la gestione separata di Eurovita e assegnarla a tutte le cinque grandi del mercato assicurativo nazionale: Intesa Vita, Generali, Poste, Unipol e Allianz. L’amministratore delegato di Poste, Matteo Del Fante, si è detto favorevole a una tale soluzione. Pesa la pressione del governo Meloni, che sta seguendo il dossier non senza preoccupazioni. Tra l’altro, proprio la carica di Del Fante è in scadenza e il rinnovo del suo mandato è considerato molto probabile.
Qual è la ratio alla base di questa seconda ipotesi? Una volta che le polizze Eurovita in gestione separata finiranno nei portafogli di compagnie solide, i clienti non avrebbero motivo per correre a riscattarle. Se questo è vero, c’è un aspetto psicologico da non sottovalutare: il caso Eurovita ha evidenziato agli investitori il fatto di possedere polizze meno redditizie di quelle che otterrebbero con nuove sottoscrizioni. È diventato tecnicamente conveniente riscattare il vecchio capitale e reinvestirlo in investimenti nuovi, anche della stessa compagnia. Tuttavia, così facendo la liquidità sarebbe insufficiente a coprire l’intera domanda.
Detto ciò, l’aria che si respira è dell’intesa alla portata. Nessuno vuole rischiare un caso come SVB in Italia. Serve generare fiducia tra i clienti e questa sarebbe garantita dall’intervento di grandi compagnie per rilevare investimenti relativamente contenuti. L’alternativa al salvataggio sarebbe di alimentare la sfiducia verso l’intero mercato assicurativo domestico.