Evasione fiscale e legge elettorale, così Ruffini (AdE) avvalora la tesi della dittatura della maggioranza

Le cause dell'evasione fiscale oggetto di riflessione al Meeting di Rimini del direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini.
3 mesi fa
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Ruffini e le radici dell'evasione fiscale in Italia
Ruffini e le radici dell'evasione fiscale in Italia © Licenza Creative Commons

Il nome di Ernesto Maria Ruffini ai più dirà poco, ma sappiate che è uno degli uomini più potenti e importanti d’Italia. E’ direttore dell’Agenzia delle Entrate, l’ente incaricato di contrastare l’evasione fiscale. Ha attraversato indenne ben cinque governi, da Renzi a Meloni, e lo scorso anno è stato riconfermato nel ruolo, forte dei successi ottenuti. In effetti, nel 2023 ha recuperato la cifra record di 31,4 miliardi di euro tra entrate erariali (24,7 miliardi) ed entrate previdenziali e degli enti locali (6,7 miliardi).

Per Ruffini legge elettorale causa di evasione fiscale

Ruffini ha partecipato questa settimana al Meeting di Rimini, appuntamento di rilevanza pubblica da decenni e organizzato da Comunione e liberazione. Il suo intervento è stato in parte scontato nei contenuti, quando ha ricordato l’importanza dell’ente che ha “l’onore” di guidare. Lo ha definito “un’infrastruttura fondamentale”, perché consente di finanziare tutte le altre infrastrutture del Bel Paese. Ma è sulle radici dell’evasione fiscali, perlomeno di parte di essa, che il direttore ha usato parole del tutto originali. Egli ha spiegato che con la legge elettorale di tipo proporzionale l’astensionismo fosse minore di oggi e che gli italiani si sentissero più rappresentati, al contempo cercando di evadere meno tasse.

Ciò che ci spiega Ruffini in sé non è rivoluzionario, in quanto riprende il principio ispiratore dell’indipendenza degli Stati Uniti dalla madrepatria inglese: “no taxation without representation” (“niente tasse senza rappresentanza”). In pratica, gli italiani si sentirebbero meno rappresentati con queste ultime leggi elettorali nate durante la Seconda Repubblica. Il distacco con le istituzioni avrebbe portato non solo a disertare i seggi, ma anche a una maggiore propensione all’evasione fiscale.

Distacco tra cittadini e politica anche con governi tecnici e boom pressione fiscale

I dati non sembrerebbero confermare tale tesi. Negli ultimi anni, ad esempio, l’entità dell’economia sommersa è scesa rispetto al Pil.

E non sembra che durante la Prima Repubblica vi fosse un’alta propensione a pagare le tasse. Tutt’altro. Non è facile trarre conclusioni, perché dal 1973, anno in cui entrò in vigore la riforma fiscale tuttora in vita, la pressione fiscale nel nostro Paese è esplosa del 15%, il doppio rispetto alla media Ocse. Rappresentatività o meno del sistema politico, il punto è stato anche il balzo delle imposte richieste ai contribuenti.

Se Ruffini avesse ragione, bisognerebbe ampliare il senso del suo ragionamento. Negli ultimi trenta anni abbiamo avuto ben quattro premier tecnici (Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini, Mario Monti e Mario Draghi), a capo di altrettanti governi vuoi del tutto tecnici o tecnico-politici. Il loro scopo è stato di recuperare risorse per risanare i conti pubblici, ma se avessero contribuito ad allargare il solco tra istituzioni e cittadini, spingendo un numero maggiore di contribuenti a propendere per l’evasione fiscale?

Minoranza di contribuenti spremuta fino all’osso

Andando avanti su questa strada, dovremmo dedurre anche che non sia soltanto la legge elettorale in sé a far sentire poco rappresentati i cittadini-contribuenti. I dati del Tesoro ci dicono che solamente un quinto di coloro che presentano la denuncia dei redditi dichiara almeno 35.000 euro lordi all’anno. E su di loro ricadono quasi i due terzi dell’intero gettito Irpef. C’è una minoranza che viene sempre più spremuta dalla maggioranza. Questa, in forza dei numeri, riesce a incidere sulle scelte di tutti i governi di qualsivoglia colore politico, costringendoli a varare misure assistenziali inevitabilmente finanziate da coloro che le tasse le pagano.

Ed è così che siamo arrivati a quasi 3.000 miliardi di debito pubblico e ad un’evasione fiscale che attualmente si attesterebbe a quasi 100 miliardi all’anno. Perché pagare sempre più tasse in favore di una fetta della popolazione a caccia di risorse crescenti per sé? Il famoso ceto medio non è più rappresentato in Parlamento da decenni, chiacchiere da comizi a parte.

I partiti fanno a gara a promettere misure di spesa, che avvantaggiano una parte degli italiani e svantaggiano una minoranza sempre meno tutelata. Siamo giunti al punto che anche solo prospettare il taglio delle tasse sui redditi sopra 35.000 euro venga considerata una politica per “i ricchi”.

Evasione fiscale e astensionismo non sovrapponibili

Prendendo spunto dalla riflessione di Ruffini, non è solo la legge elettorale che dovremmo cambiare. La rappresentanza dei cittadini deve essere a 360 gradi. C’erano un tempo i partiti interclassisti, i quali riuscivano a mettere insieme istanze anche tra loro differenti, anche se spesso scaricandole sul debito. Oggi l’interclassismo è un modo per celare l’incapacità di offrire soluzioni concrete al ceto medio. D’altra parte non è neanche detto che a non votare siano coloro che le tasse non le pagano. Astensionismo ed evasione fiscale sono due fenomeni non perfettamente sovrapponibili, pur aventi possibilmente un’unica radice: la scarsa capacità della politica di rappresentare le istanze dei cittadini.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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