Matteo Salvini contro Ernesto Maria Ruffini. Il vice-premier e ministro delle Infrastrutture da un lato e il direttore dell’Agenzia delle Entrate dall’altro. Pomo della discordia è stata l’invocazione di un condono per tendere alla rottamazione delle cartelle esattoriali d’importo fino a 30.000 euro. Anziché “tenere in ostaggio” il cittadino per anni, sostiene il primo, meglio sarebbe chiedergli di pagare una sola parte del dovuto e chiuderla lì. L’idea del leader leghista risiede nella volontà di limitare gli atti persecutori nei riguardi di quella “evasione fiscale di necessità”.
Ruffini ha difeso l’operato dell’ente che guida dal 2017, salvo il periodo compreso tra il 2018 e il 2020. Il governo Meloni lo ha da poco confermato nel ruolo, grazie ai buoni risultati conseguiti e che lo stesso direttore rivendica. Nel 2022 sono stati incassati 20 miliardi di euro dalla lotta all’evasione fiscale, cifra record in Italia. Il manager ha altresì chiarito che l’Agenzia non attua alcuna persecuzione, ma “nel rispetto delle leggi vigenti” punta a tutelare i cittadini onesti e paradossalmente anche quelli disonesti, cercando di riscuotere le risorse spettanti allo stato e che sono state sottratte alla collettività per l’erogazione dei servizi pubblici.
Timori su rottamazione quater
Le parole di Salvini hanno infastidito mezzo governo. A non condividerle sono stati il vice-ministro dell’Economia, Maurizio Leo, il ministro stesso Giancarlo Giorgetti ed anch’egli esponente della Lega, nonché il ministro della Funzione pubblica, Paolo Zangrillo. Qual è il punto? Alcuni dati darebbero ragione al vice-premier. Su un magazzino fiscale di 1.153 miliardi, l’Agenzia riuscirà a riscuoterne sì e no sui 114 miliardi. In altre parole, più di 9 cartelle esattoriali su 10 sono inesigibili per svariate ragioni: o il debitore è morto o non è rintracciabile o la società è stata dichiarata fallita, ecc.
Ha ragione Salvini quando ritiene che lo stato spenda un sacco di soldi per fingere la lotta all’evasione fiscale.
Insomma, ci sono ragioni tecniche che hanno spinto una parte del governo a prendere le distanze. C’è dell’altro: l’evasione fiscale di necessità di cui parla Salvini esiste davvero. Sono quei contribuenti con l’acqua alla gola, che non riescono a pagare una o più scadenze, perché altrimenti dovrebbero o chiudere battenti o rinunciare a sfamare la propria famiglia. In sede giudiziaria è corretto che casi del genere non siano assimilati a quelli di chi non paga le tasse per indisposizione aprioristica. Insomma, un evasore incallito è certamente peggiore di chi non ha pagato una o più tasse per ristrettezze finanziarie. Tuttavia, un governo non può codificare l’evasione fiscale per necessità. E’ impossibile prevederne le fattispecie e, soprattutto, alimenterebbe la convinzione di tanti cittadini che, in caso di difficoltà, pagare le imposte diventa un optional.
Evasione fiscale di necessità, fattispecie esistente e pericolosa
Ogni anno, si calcola che in Italia l’evasione fiscale ammonti a più di 100 miliardi di euro. Buona parte di questa cifra ha a che vedere con certa economia sommersa di necessità. Pensate al Sud, dove una miriade di piccole imprese, spesso ignote del tutto al Fisco, consente a centinaia di migliaia, se non milioni di lavoratori di sostentarsi. Perché non versano neppure un euro allo stato? In molti casi, non posseggono i requisiti minimi per stare ufficialmente sul mercato.
L’evasione fiscale non la si combatte soltanto inviando ispettori nelle aziende o ponendo un’attenzione maniacale agli scontrini battuti. Lo stato dovrebbe usare più efficientemente le risorse dei contribuenti, i quali altrimenti si sentiranno autorizzati a fare come credono. Ma invocare un condono a meno di tre settimane di distanza dalla chiusura di un altro, non è serio. Si avalla l’idea di uno stato comprensivo con i furbi e persino disposto a dare loro ragione. Non può e non deve essere così.
I governi che più di tutti nella storia moderna hanno abbassato la tassazione su imprese e famiglie e che hanno ottenuto così una riduzione ingente dell’evasione fiscale, non erano soliti andare in giro a dire che le tasse non andassero pagate. Non erano queste le affermazioni di statisti del calibro di Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Una cosa è compiere un ragionamento politico che affronti le cause del fenomeno, un’altra è lasciarsi andare ad affermazioni rischiose, se rese in qualità di ministro. I furbi non aspettano altro che qualcuno dia loro un alibi.