Succede anche questo nella giustizia tributaria italiana: che un imprenditore vada in causa contro l’Agenzia delle Entrate, che vinca in primo grado, che la controparte faccia ricorso (e fin qui nulla di strano) ma soprattutto, e qui emerge la nota stonata, che a distanza di dieci mesi, nonostante l’obbligo vigente di restituzione, non sia stato rimborsato dei 17 mila euro pagati solo per potersi difendere in giudizio.
Durante un preliminare l’uomo racconta davanti dal giudice di sentirsi privato del “diritto di lavorare onestamente” e di lavorare a malapena per riuscire a pagare le spese, i fornitori, le banche, le assicurazioni, tasse e un dipendente.
Il caso è giunto all’attenzione di Federcontribuenti: Fabrizio Zampieri, Responsabile Aziende e Mercati Finanziari ha puntato il dito contro la disparità di trattamento posto che cittadini e imprenditori sono costretti a pagare con anticipo allo Stato circa il 90% dell’importo delle tasse già salsate per redditi presunti mentre nel caso in cui siano questi a vantare un credito nei confronti dello Stato possono attendere anche anni prima di ricevere quanto dovuto. Zampieri ha definito questa prassi giuridica come un “meccanismo perverso e micidiale” abolendo la quale “si assisterebbe ad una notevole creazione di liquidità con conseguente rilancio dei consumi in ambito privato e ripresa degli investimenti produttivi (maggiore occupazione) in ambito aziendale ”.
La proposta è quella di sospendere per almeno un biennio il pagamento degli acconti delle tasse sui redditi, come avvenuto per il pagamento dell’IMU.
Commentando questo caso il presidente Paccagnella ha ribadito la necessità, più volte paventata da Federcontribuenti, della stesura in tempi brevi di un Codice Tributario (da tempo realizzato in altri Paesi europei) sulla base del principio fondamentale per cui nessun interesse collettivo, neppure in materia fiscale, può comportare la sospensione dei diritti democratici.