Stasera gli occhi del mondo saranno puntati su Atlanta, dove la Federal Reserve comunicherà le decisioni di politica monetaria al termine del primo board dell’anno. Domani, l’attenzione si sposta su Francoforte. Qui, il rialzo dei tassi da parte della Banca Centrale Europea (BCE) è dato per certo. Così come certo è considerato l’aumento dello 0,50%. I tassi di riferimento saliranno al 3%. Non ci sono dubbi sull’esito della riunione, mentre ne esistono parecchi per il dopo. Questa settimana, alcuni dati macro usciti dalle principali economie dell’Area Euro svelano un quadro difficile da decifrare.
Anche in Spagna l’inflazione è salita dal 5,7% al 5,8%, mentre il PIL italiano nel quarto trimestre è diminuito dello 0,1%, meno del -0,2% atteso dagli analisti. Un altro punto a favore di consiglieri come Isabel Schnabel, che spinge sulla necessità di proseguire nella stretta monetaria. Con lei vi sono senza se e senza ma l’olandese Klaas Knot e il tedesco Joachim Nagel. Ma anche le “colombe” come Fabio Panetta e Ignazio Visco avranno qualche argomentazione dalla loro parte. Le vendite al dettaglio a dicembre sono precipitate in Germania del 5,3% mensile e del 6,4% annuale. E il PIL tedesco si è contratto dello 0,2% nel quarto trimestre. Per quanto il Fondo Monetario Internazionale abbia migliorato le stime di crescita per Italia e Germania, lo spettro della recessione in queste economie non sembra essersi allontanato definitivamente.
Sul rialzo dei tassi BCE di domani, nessuno scontro reale. E’ sul dopo che le parti si combattono a colpi di dati e scenari contrapposti. I “falchi” vorrebbero aumentare il costo del denaro di un altro mezzo punto anche a marzo.
Tassi BCE, rischi paventati da falchi e colombe
Due i rischi a cui Francoforte va incontro domani. Se si mostrasse poco convincente nel combattere l’inflazione, le aspettative del mercato potrebbero tornare a “surriscaldarsi”. A quel punto, il prosieguo della disinflazione ne risulterebbe minacciato. Basti pensare al rinnovo dei contratti di lavoro. I sindacati avrebbero qualche buona ragione in più per chiedere aumenti salariali robusti. D’altra parte, esiste il rischio di strafare. Tassi BCE più alti del previsto farebbero ripiegare gli assets finanziari e il mercato immobiliare. I consumi si contrarrebbero e l’economia nell’Eurozona rischierebbe la stagnazione o persino la recessione.
Christine Lagarde ha un precedente difficile che le “colombe” agitano in sostegno della loro tesi: il rialzo dei tassi BCE nell’estate del 2011. Il connazionale Jean-Claude Trichet ignorò i mercati, iniziò la stretta ed esplose la crisi dello spread. Seguirono anni di dura recessione in gran parte dell’Eurozona e il successore Mario Draghi intervenne con stimoli monetari senza precedenti per cercare di spegnere l’incendio. Ma è proprio la paura che dopo questa crisi si torni ai vecchi “vizi” a spingere i “falchi” per una riduzione del bilancio quanto più immediata e sostanziosa possibile. Il Nord Europa capisce che dopo il 2023 non ci saranno più probabilmente le giustificazioni palesi per ottenere la normalizzazione monetaria. Per questo, vorrebbero tendervi con lo stop ai reinvestimenti dei bond in scadenza e tassi BCE quanto più alti possibili. Un modo, se vogliamo, di accumulare munizioni da utilizzare alla prossima crisi.