Si celebrano oggi i 76 anni della Repubblica. Era il 2 giugno del 1946, quando tramite un referendum popolare gli italiani scelsero di porre fine a 85 anni di monarchia. I politici di tutti gli schieramenti nelle prossime ore useranno fiumi d’inchiostro, anzi di bit, per scrivere parole vuote con cui testimoniarci la loro esistenza in vita. La quasi totalità dei cittadini, però, stando a tutte le rilevazioni, ha già smesso di credere in loro da un pezzo. E alla base di così ampia sfiducia vi è la cronica incapacità delle istituzioni di offrire risposte ai problemi salienti e drammatici della quotidianità.
La crisi del mercato del lavoro italiano
I dati OCSE ci fotografano una realtà agghiacciante. Nel 2020, anno a cui si riferiscono le ultime rilevazioni statistiche, gli stipendi italiani risultavano essere i più bassi tra tutte le economie occidentali, ad eccezione del Portogallo. Espressi in valuta americana e a parità di potere d’acquisto, erano di appena 37.769 dollari lordi all’anno, il 23% in meno della media OCSE, che era di 49.165 dollari. A titolo di confronto, in Francia ammontavano a 45.581 dollari, in Germania a 53.745, nel Regno Unito a 47.147 e in Spagna a 37.922. Persino Madrid batte Roma.
Ma forse il peggio arriva quando andiamo a monitorare l’andamento degli stipendi italiani e nel resto d’Europa negli ultimi 30 anni. Scopriamo, infatti, che nel 1990 l’Italia primeggiava con un dato pari al 5% sopra la media OCSE. La Germania risultava di poco superiore con +9%. Dietro c’era la Francia a -6%, il Regno Unito a -11,5% e Spagna a -3%. Nel 2020, invece, le proporzioni erano totalmente ribaltate: Italia -23%, Francia -7%, Germania sempre +9%, Regno Unito -4% e Spagna -23%.
In termini reali, gli stipendi italiani in 30 anni sono diminuiti del 3%, mentre in Francia sono aumentati del 31%, in Germania del 34%, nel Regno Unito del 44% e in Spagna del 6%.
Stipendi italiani giù e bassa occupazione
Se in Italia lavorassero percentualmente le stesse persone della media OCSE, avremmo 26,5 milioni di occupati, quasi 3,5 milioni in più di oggi. Se lavorassero nella stessa proporzione della Germania, gli occupati salirebbero a 29,3 milioni, ben 7 milioni e rotti in più. Questo dato paurosamente negativo spiega il basso livello degli stipendi italiani: i lavoratori non posseggono alcun potere negoziale, in quanto c’è scarsissimo lavoro disponibile. E allora come mai a inizio anni Novanta, quando l’occupazione era di poco superiore al 51%, gli stipendi italiani risultavano maggiori di oggi? Semplice: erano “drogati” dalla spesa pubblica, che a sua volta creava posti di lavoro fittizi nella Pubblica Amministrazione e nell’industria di stato. Ma la produttività del lavoro era scarsa e quando la realtà prese il sopravvento, la caduta dei livelli salariali è stata servita.