C’è paura per la riapertura dei mercati oggi dopo il fallimento di Silicon Valley Bank (SVB), diciottesima banca americana per dimensioni e la più grande tra i crac degli ultimi quindici anni. Insomma, è appena andata a gambe per aria l’istituto di credito più grosso dopo Lehman Brothers nel 2018. Questa mattina, la Federal Reserve si riunisce in emergenza per decidere alcune misure atte ad evitare il contagio. Infatti, è intenzione della banca centrale di garantire tutti i depositi dei risparmiatori, non solo quelli fino ai 250.000 dollari soggetti a garanzia.
Il fallimento di SVB è avvenuto formalmente venerdì sera con l’annuncio delle autorità californiane della chiusura. Già giovedì, le azioni in borsa erano crollate del 60% dopo che l’istituto aveva annunciato una perdita di 1,8 miliardi di dollari causata dalla vendita di un portafoglio obbligazionario. I dirigenti avevano altresì varato un aumento di capitale in fretta e furia per sopperire all’ammanco. Tuttavia, le modalità del crac appaiono sospette. SBV detiene asset per 212 miliardi, di cui 120 miliardi sono obbligazionari. Di questi, 57,7 miliardi sono stati acquistati per essere detenuti alla scadenza. Disponeva altresì di depositi dei risparmiatori per 173 miliardi.
Ebbene, tra giovedì e venerdì risulta che siano stati ritirati depositi per 42 miliardi, lasciando la banca con un saldo di liquidità negativo per quasi 1 miliardo. Quasi un dollaro su quattro è stato prelevato, dunque, dai clienti in poche ore. E forse si può capire il panico dal fatto che appena il 7% dei depositi risulti essere garantito. Il 93% non lo è. Ma contrariamente alle attese, ad avere portato i quattrini fuori da SVB non sono stati i piccoli risparmiatori, bensì gli investitori istituzionali. Il fondatore di PayPal, Peter Thiel, ha espressamente suggerito di chiudere il proprio conto in banca, seguito da altri “venture capitalist” e persino dal CEO di JP Morgan, Jamie Dimon.
Fallimento SVB orchestrato contro stretta tassi FED?
Proprio la finanza ha tradito SVB, provocandone una corsa agli sportelli con esito inevitabile: il fallimento. Non vi sembra strano che ci si faccia uno sgambetto tra attori facenti parte dello stesso ambiente? SVB era una banca che prestava denaro alle società tecnologiche e attive nel comparto delle criptovalute. Si tratta di realtà in crisi negli ultimi mesi, come dimostrano i licenziamenti massicci già deliberati alla Silicon Valley per centinaia di migliaia di posti di lavoro in tutto. Impensabile fino allo scorso anno.
C’è la sensazione che qualcuno ai vertici della finanza che conta abbia intravisto le difficoltà di SVB come un’opportunità per consegnare al mercato un agnello sacrificale. Per quale obiettivo? Seminare abbastanza panico da costringere la FED a cessare la stretta monetaria. I tassi d’interesse sono attesi in rialzo anche al board del 21-22 marzo. Fino a pochi giorni fa, era dato per molto probabile un rialzo dello 0,50% al 5,25%. Adesso, molto probabile che la FED si fermi al 5% o che non aumenti il costo del denaro affatto. Soprattutto, il mercato si attendeva che Jerome Powell avrebbe continuato ad alzare i tassi anche dopo marzo e a ridurre il bilancio, non rinnovando i titoli in scadenza detenuti in portafoglio e rivendendoli in parte.
Questo scenario preoccupa molto la finanza. I prezzi degli asset come azioni e obbligazioni, gonfiati fino all’inverosimile in oltre un decennio di allentamento monetario, sono implosi e non accennano a riprendersi. I soggetti debitori, vale a dire imprese, famiglie e gli stessi governi, si trovano a gestire un aumento dei costi di rifinanziamento insostenibili in molti casi. E banche, fondi e assicurazioni sono stracolmi di titoli dal valore deprezzato.
Banche centrali con spalle al muro
Se l’inflazione americana – analogo il discorso in Europa – non si fermasse presto, la FED non avrebbe altra strada da percorrere che quella della restrizione ulteriore delle condizioni monetarie. Eccetto in un caso: se si diffonde il rischio di una forte instabilità finanziaria. Il fallimento di SVB crea l’alibi perfetto per Powell. Potrà indietreggiare sulle sue posizioni anche recentissime sui tassi senza che nessuno batta ciglio e dubiti della sua credibilità. Il crac di una banca pone sempre un rischio sistemico, che a sua volta è destabilizzante dei prezzi al consumo, oltre che dell’economia in generale.
In sostanza, chi se ne frega se l’inflazione americana resterà di qualche punto più alta del target ufficiale (2%), se l’alternativa sarebbe di far crollare non solo Wall Street, ma anche Main Street. Tutta la superpotenza verrebbe giù nel caso i fallimenti bancari si moltiplicassero. Per impedire un tale scenario, la FED per prima cosa finirà di alzare i tassi d’interesse. Secondariamente, sospenderà la riduzione del suo bilancio, cioè non venderà più i bond posseduti. Infine, riprenderà ad acquistarli, magari contestualmente al taglio dei tassi. Tutto, pur di iniettare nuovamente liquidità sui mercati per impedirne un collasso. Il casinò deve riaprire. La finanza ha bisogno di tornare ad assumere droghe pesanti, perché lasciata da sola finirebbe per accusare forti crampi allo stomaco da astinenza.
Magari il fallimento di SVB non è stato architettato. Possibile che sia solo l’occasione che i finanzieri americani si sono ritrovati tra le mani per poter ricattare la FED da una posizione di forza. Di certo c’è che il caso sta giovando a mutare repentinamente il clima tra le grandi banche centrali. Anche la Banca Centrale Europea, già al board di questo giovedì, dovrà dosare le sue riflessioni sull’inflazione e contemperarle con altre sulla stabilità sistemica.