Una sentenza del Tribunale di Viterbo fa chiarezza sul dibattuto tema della false partite Iva, quelle che l’ex ministro del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero aveva cancellato almeno sulla carta. La pronuncia di fatto ha esentato queste posizioni dal pagamento delle imposte e promette di fare scuola e di portare al boom di richieste di annullamento dei tributi all’Agenzia delle Entrate. L’escamotage delle finte partite iva viene usato dai datori di lavoro per scaricare sui dipendenti gli oneri della tassazione spettante a lui da contratto.
In pratica il lavoratore subordinato viene fatto risultare come collaboratore autonomo. Si tratta di una categoria sommersa molto ampia che include operai, agenti di commercio e operatori di call center. Il caso sottoposto in primo grado ai giudici di Viterbo scaturisce dall’opposizione di un operaio del settore edile al pagamento delle tasse dovute. Quest’ultimo infatti aveva fatto ricorso dichiarando che la sua partita Iva nascondeva in realtà un rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti. Nelle motivazioni della sentenza che ha dato ragione al lavoratore si legge:”
Se un lavoratore dipendente chiede l’attribuzione di una partita Iva, non per questo può essere considerato soggetto passivo di imposta. La fattura emessa a fronte del salario corrispostogli dal datore di lavoro riguarda certamente un’operazione inesistente, che non può comportare per il lavoratore il versamento del tributo e per il datore di lavoro la possibilità di portarsi in detrazione l’Iva, che apparentemente risulta dalla fattura, da lui corrisposta”.
Come riconoscere le false partite iva: requisiti
Le partite iva possono essere considerate false (e quindi vanno sostituite con un contratto di collaborazione a progetto) quando il rapporto di lavoro è esclusivo con un solo committente (almeno 80% degli introiti del professionista) e prevede un periodo di almeno otto mesi l’anno.
Altri indizi sono ad esempio l’imposizione di vincoli di orario.