A che punto siamo con la politica monetaria della Federal Reserve? Al board di settembre, l’istituto ha avvertito che il “tapering”, ovvero l’avvio della riduzione negli acquisti di bond, sarebbe iniziato “a breve”. L’annuncio ufficiale dovrebbe arrivare prestissimo e quasi certamente entro la fine dell’anno. Ma anche il primo rialzo dei tassi USA dal 2018 sarebbe meno lontano di quanto crediamo. E a segnalarcelo è lo stesso mercato.
La Federal Reserve dovrebbe cessare gli acquisti dei bond, attualmente fissati in 120 miliardi di dollari al mese, prima di effettuare una vera e propria stretta monetaria.
Rialzo tassi USA implicito nei prezzi
Il Treasury a 2 anni, che tende a rispecchiare le condizioni monetarie sul mercato americano, ormai offre un rendimento in area 0,45%. Considerato che i tassi USA restino fissati nel range 0-0,25%, possiamo affermare che attualmente gli investitori stiano scontando un costo del denaro di un quarto di punto superiore a quello fissato dalla Federal Reserve. In altre parole, questa sarebbe “behind the curve” (“indietro nella curva”). Significa che la politica monetaria della prima banca centrale del mondo si troverebbe in ritardo rispetto al mercato.
Ora, qui si apre un bel dibattito simile a quello sulla nascita prima dell’uovo o della gallina. E’ la Federal Reserve a indirizzare il mercato o viceversa? Possiamo affermare un po’ e un po’. E’ vero che formalmente l’istituto non si fa dettare la linea sui tassi dal mercato, ma è indubbio che finisca per esserne influenzato. Perché mai dovrebbe rinviare il rialzo dei tassi, quando già gli investitori ragionano come se vi fosse? A queste condizioni, la stretta non farebbe danni, dato che essa sarebbe incorporata già nei prezzi.
Secondo CME Group, principale società di derivati, un primo rialzo dei tassi USA avverrà a giugno e un secondo entro novembre. E in poche settimane, le previsioni hanno accorciato di parecchio l’orizzonte temporale per l’avvio della stretta. Tornando al Treasury a 2 anni, esso offriva un rendimento all’interno del range 0-0,25% fino agli inizi del giugno scorso, quando sono arrivati i dati choc sull’inflazione americana, salita a maggio al 5%. A settembre, risultava al 5,4%, ai massimi da 13 anni e 2,5 volte il target. In pratica, il mercato crede che sia arrivata l’ora di agire. Per quanto Powell si ostini a ripetere che il boom dei prezzi sia temporaneo, a crederci sono rimasti in pochi.