Lo scontro tra governo italiano e Stellantis prosegue sottotraccia. E’ venuto a galla che, mercoledì scorso 15 maggio, la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle dogane e dei monopoli hanno sequestrato 134 modelli di Fiat Topolino appena scaricati al porto di Livorno. Erano arrivati su una nave merci dal Marocco, Paese in cui erano stati prodotti. L’accusa: sul fianco mostrano un adesivo tricolore italiano e farebbero intendere, stando alle autorità, che l’auto sia stata prodotta in Italia, mentre così non è.
Sequestro Fiat Topolino con nuova legge
Con la Legge di Stabilità 2024 il governo di Giorgia Meloni ha disciplinato l’uso del marchio Made in Italy. Esso ha introdotto il reato per i casi in cui il consumatore sia indotto a pensare che un prodotto sia stato fabbricato in Italia quando così non è. E l’uso del tricolore, ad esempio, può essere consentito quado la fabbricazione sia avvenuta almeno in parte nel Bel Paese. Stellantis si è difesa sostenendo che la Fiat Topolino sia un modello storico dell’azienda torinese, nato dall’imprenditoria e dall’ingegno degli italiani.
Tavares cerca incentivi per auto elettriche
La questione è evidentemente politica e non strettamente giudiziaria. Da mesi il governo di centro-destra accusa Stellantis di stare smantellando gli stabilimenti italiani per produrre altrove, compresa la Francia. Il CEO, Carlos Tavares, replica sostenendo che la responsabilità sia da addebitare proprio all’esecutivo, reo di non prevedere incentivi per l’acquisto delle auto elettriche. A difesa della casa automobilistica, che dal 2021 è ormai italo-francese e nei fatti sbilanciata a livello manageriale e decisionale in favore di Parigi, non si sta levando sostanzialmente nessuno negli ambienti politico-istituzionali.
Il centro-sinistra balbetta – la famiglia Elkann/Agnelli possiede il Gruppo Gedi, che edita La Repubblica e La Stampa – ma non può che prendere atto di un’opinione pubblica fortemente e trasversalmente irritata con l’ex Fiat. Il caso Fiat Topolino è solo l’ultimo episodio di uno scontro frontale tra Roma e società. Nello stabilimento di Mirafiori c’è la cassa integrazione e l’obiettivo concordato con il governo di arrivare a produrre un milione di auto all’anno in Italia sta diventando un miraggio. Il ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, da tempo è in cerca di un secondo costruttore. Si è rivolto recentemente anche ai cinesi, mentre Stellantis sta cercando di sventare il pericolo sul nascere con un accordo commerciale con Leapmotor: ne distribuirà i modelli sul mercato europeo tramite l’Italia.
Già scontro su Alfa Romeo Milano
E’ giusto che le Fiat Topolino non siano riconosciute come prodotto Made in Italy? Il caso riguarda tanti prodotti. Basti pensare all’abbigliamento, compresi i marchi del lusso che producono in Cina per vendere sul nostro mercato a caro prezzo. Il marchio tricolore ha una grande forza commerciale in tutto il mondo, alla pari solamente di grandi colossi internazionali come Coca Cola e Ferrari. E’ sinonimo di stile, eleganza, inventiva, buon gusto, raffinatezza, ecc. Associare un prodotto al Made in Italy significa godere di quelle che gli economisti definiscono “esternalità positive”. Scorrettissimo se avvenisse senza che vi fosse alcun legame diretto tra prodotto e Italia, inteso sia come luogo di fabbricazione che sfruttamento dell’ingegno.
Stellantis fa di tutto da tempo per ridurre la sua presenza nel nostro Paese. Ostenta fieramente di essere una società multinazionale che fabbrica laddove venga sussidiata dai governi e i costi di produzione siano inferiori.
Non solo Fiat Topolino, marchio Made in Italy solo per produzioni italiane
E’ importante che gli imprenditori capiscano una volta per tutte che le loro decisioni su dove produrre avranno conseguenze, a partire dall’appetibilità del marchio. Troppo comodo produrre in un Paese dell’Europa dell’Est o in Asia o Africa per spacciare il prodotto come Made in Italy e venderlo a prezzi sostanzialmente simili a quelli sostenuti da beni prodotti nel Bel Paese. A fronte di costi e controlli minori, la percezione del consumatore rimane inalterata e il beneficio non si riduce. Al contrario, se devi tenere conto che spostare la produzione comporta anche la perdita di legame con l’Italia percepita dal consumatore, l’analisi benefici-costi inizia a mutare. Non puoi definire “italiano” un prodotto fabbricato all’estero con manodopera straniera e componenti straniere. A maggior ragione se la stessa composizione azionaria della società pone il dubbio circa l’effettiva semi-italianità del controllo.