I contagi crescono, lo spread pure. La distanza tra BTp e Bund nelle ultime settimane si è stabilizzata sopra 130 punti, a tratti sfondando i 145. Il rendimento a 10 anni dell’Italia è ormai salito ben sopra l’1%, sopra 1,15%. Se non ci fosse Mario Draghi a Palazzo Chigi, con ogni probabilità lo spread sarebbe oggi già più vicino ai 200 che non ai 100 punti. D’altra parte, sembra vero che più s’ingrossano le file davanti alle farmacie e più sui mercati si vendono titoli di stato e i rendimenti lievitano.
I due fenomeni hanno in comune ancora una volta Draghi, il “dominus” di quest’ultimo anno della politica italiana. Le file per fare il tampone sono il segno più tangibile del fallimento della strategia in corso per arrestare la pandemia. Nel Paese monta la frustrazione tra quanti non intravedono più una via d’uscita dal Covid e si ritengono vittime di scelte inefficaci. Lo spread ne risente, perché l’immagine di Draghi è sempre meno quella di “Super Mario”. Dalla sua, il premier ha l’assenza di personaggi di pari livello in Italia e persino sul piano europeo.
Spread e rischio paralisi
Ma gennaio sarà un mese da “o la va o la spacca” per Draghi. Se la pandemia avanza, le attività chiudono e le prospettive economiche a breve peggiorano, il suo trasloco al Quirinale rischia di non esserci. E contrariamente a quanto va speculando parte della stampa estera, ciò non sarebbe un successo per il premier, in quanto ne decreterebbe una sonora sconfitta politica e parlamentare. Le chance che resti a guidare il governo si ridurrebbero al lumicino, specie se il nuovo presidente della Repubblica dovesse essere eletto senza accordo ampio tra le forze di maggioranza.
Capite benissimo come le file in farmacia stiano diventando il termometro della febbre pandemica e politica in tempo reale e misurata agli angoli di ogni quartiere d’Italia.