Un altro chiodo nella bara è stato conficcato. Il capitalismo di stampo occidentale, se non è ufficialmente morto, versa in coma profondo. Nello scorso fine settimana, le autorità americane sono dovute scendere in campo per salvare due banche finite nel crac. La lista dei possibili interventi si allunga e le misure previste per frenare il rischio di contagio sono eloquenti. Tutelati tutti i depositi delle banche in crisi, anche quelli non garantiti per legge. E in caso di bisogno, gli istituti potranno rivolgersi alla Federal Reserve per ottenere liquidità alle ordinarie finestre senza incorrere in perdite sui collaterali di garanzia (bond), i quali saranno valutati al loro valore nominale e non di mercato.
Da Lehman ai crac bancari di questi giorni
Probabile anche la FED smetta di alzare i tassi d’interesse già al prossimo board del 21-22 marzo. Ed è qui che sta tutta la crisi ormai apparentemente definitiva del capitalismo dell’Occidente. Eravamo a metà settembre del 2008 quando falliva Lehman Brothers. Fino a pochi giorni prima, era considerata una banca sicurissima. Temendo il ritorno agli anni della Grande Depressione, la FED azzerò i tassi d’interesse e iniziò a iniettare migliaia di miliardi di dollari di liquidità sui mercati comprando titoli di stato e bond coperti da garanzia immobiliare (Mbs). Il programma fu noto come Quantitative Easing.
Pian piano, tutte le altre grandi banche centrali ne imitarono l’esempio. Tutte con intenti provvisori, ma nei fatti tali misure straordinarie rimasero quasi ovunque in vigore per quasi un quindicennio. Fino all’anno scorso, quando vi fu l’esigenza di alzare i tassi per frenare la corsa dell’inflazione. Poco prima, i rendimenti obbligazionari sui mercati avevano toccato i minimi storici. Addirittura, in Europa e Giappone erano stati negativi finanche lungo l’intera curva delle scadenze.
Capitalismo di nuovo in crisi con rialzo dei tassi
Che questa fosse una distorsione del capitalismo, era evidente. Le banche centrali avevano nei fatti cercato di salvare la finanza azzerando il rischio, l’essenza del capitalismo stesso. Se tu investi, lo fai sulla base di un’analisi benefici-costi. Se le autorità statali minimizzano i costi e massimizzano i benefici artificiosamente, ne verrà fuori un sistema sussidiato, inefficiente e sempre più elefante nella cristalleria. I bassissimi costi di rifinanziamento spinsero società e governi a indebitarsi, anziché tagliare le rispettive spese inefficienti. Viceversa, banche, assicurazioni e fondi dovettero puntare su asset sempre più rischiosi per ricavare un minimo rendimento.
Con il rialzo dei tassi di questi ultimi mesi, il sistema finanziario sussidiato dalle banche centrali a colpi di liquidità illimitata e a tassi infimi segnala di non reggere il colpo. Ora che sono saltate in aria le prime banche, reclama sottovoce la fine della stretta globale. In altre parole, il capitalismo in Occidente si regge ormai solamente sul sostegno illimitato delle banche centrali al sistema del credito. Senza liquidità sottocosto, implode. Ma se questo era possibile in un ambiente di inflazione nulla, non lo stesso dicasi con prezzi al consumo che galoppano ancora vicini alla doppia cifra. C’è il serissimo rischio che le banche centrali, per salvare i finanzieri, ne scarichino i costi sulle famiglie in termini di perdita del potere di acquisto a ritmi sostenuti e duraturi.
Via rischio, sostegni illimitati
E’ molto dubbio che un sistema così fallace, assistito e tenuto in vita dalla sfera pubblica possa considerarsi ancora capitalismo. E, soprattutto, che possa continuare ad essere considerato un riferimento per il resto del pianeta. Anche perché la conseguenza logica di finanzieri salvati a colpi di aiuti statali è che lo stesso meccanismo sarà sempre più reclamato da tutte le altre categorie sociali e produttive.
Connubio oligarchie-governi
Che siamo in pienissima crisi di un sistema economico lo dimostra anche la crescente de-globalizzazione in corso, che prende il nome più rassicurante di “onshoring”. Sono finiti gli anni in cui una multinazionale delocalizzava la produzione a decine di migliaia di km dai mercati di sbocco. Tra guerra e pandemia, si è capito che le catene del valore devono essere corte per via dei rischi geopolitici e di varia natura a cui sono sottoposte. Ne sta seguendo una “guerra” all’interno dello stesso Occidente per accaparrarsi quante più quote di produzione in entrata dal rimpatrio degli stabilimenti in Asia. Stati Uniti e Unione Europea stanno combattendosi a colpi di aiuti di stato, ma con i primi ben più attrezzati della solita Bruxelles in preda a burocrazia ed egoismi nazionali.
Il culmine di ciò che conoscemmo come “libero mercato” fu raggiunto nel 2008 prima di Lehman. Di lì in poi, il capitalismo occidentale è stato sempre più caratterizzato da salvataggi finanziari da un lato e crescenti sostegni pubblici ai comparti produttivi dall’altro. E le banche centrali hanno garantito tutti a colpi di tassi azzerati e liquidità a fiumi. Il denaro non è stato più scarso e ciò ha consentito anche a soggetti decotti di tirare avanti, espungendo il concetto stesso di fallimento dal vocabolario del nuovo capitalismo. Gli ultimi crac segnano l’avvio di una nuova fase nella direzione di smantellare ciò che resta del capitalismo tradizionale.