Le premier di Finlandia e Svezia, rispettivamente Magdalena Andersson e Sanna Marin, hanno preannunciato l’intenzione di chiedere ufficialmente l’ingresso dei loro due paesi nella NATO, il sistema di difesa dell’Alleanza Atlantica. Helsinki e Stoccolma temono di finire prima o poi nel mirino dello scomodo vicino russo, come l’Ucraina in questi mesi. Il timore riguarda particolarmente la Finlandia, che confina direttamente con la Russia per 1.268 km.
Ad oggi, i due paesi scandinavi non fanno parte della NATO proprio per non urtare la suscettibilità di Mosca.
In realtà, già oggi Svezia e Finlandia sono partner della NATO e integrate perfettamente nel campo occidentale. Fanno parte dell’Unione Europea e nessuno dubita che sarebbero difese dal resto dell’Occidente nel caso malaugurato fossero attaccate. Ad ogni modo, la richiesta d’ingresso sarà probabilmente presentata e discussa formalmente nel prossimo futuro. Un boomerang per Vladimir Putin, che pensava di smantellare proprio la NATO ai suoi fianchi, disarticolando le alleanze occidentali. Un’opportunità per l’Italia per rimettersi al centro di una discussione più ampia e che riguarda la sua stabilità finanziaria.
Il “no” scandinavo agli eurobond
Al vertice di Versailles, quando si discusse informalmente qualche mese fa sull’opportunità di varare gli eurobond di guerra, la svedese Andersson fu la più velenosa contro tale ipotesi. Ribatté ai partner che da quando è stata ministro delle Finanze, ha assistito a tutta una serie di pretesti trovati di volta in volta dal Sud Europa “per non pagare i propri debiti”. Svezia e Finlandia sono paesi molto solidi fiscalmente.
I due governi scandinavi eccepiscono giuste paure relative alla loro sicurezza nazionale. Il via libera all’ingresso nella NATO sarebbe un atto dovuto per i membri dell’Alleanza Atlantica. E proprio qui l’Italia dovrebbe fare valere le sue ragioni, che non sono inferiori a quelle svedesi e finlandesi. La nostra minaccia principale non si chiama Russia, sebbene con questa guerra la sia diventata tramite gli aumenti spropositati di petrolio e gas. Da decenni, però, il nostro Paese è in preda a un rischio di stabilità finanziaria non meno pericoloso per la sopravvivenza della nostra economia. Il debito pubblico è elevato, colpa certamente di una classe politica inetta e lontana da reali istanze riformatrici.
Ad ogni modo, esiste anche un pregiudizio fin troppo radicato sui mercati ai danni del nostro debito e che ne tiene alti i costi di emissione. L’allarme spread suona ogni due e tre e limita le capacità d’azione di Roma, non solo sul piano fiscale. L’Italia è ormai da almeno un decennio sotto stretta sorveglianza di Commissione europea e BCE, a causa dell’elevata instabilità che provocherebbe nell’intera Eurozona se il suo debito non fosse più rifinanziabile a costi sostenibili. L’euro stesso rischierebbe di scomparire. A meno che la BCE non si doti di meccanismi di sostegno automatici a favore dei bond colpiti da attacchi speculativi.
NATO e sicurezza finanziaria dell’Italia
In tutti questi anni, con Mario Draghi prima e Christine Lagarde adesso a capo di Francoforte, se n’è dibattuto. Ma la discussione si è sempre arenata su un punto: il Nord Europa non concepisce che la BCE copra senza contropartite certe le mancanze del Sud Europa in tema di conti pubblici.
Potrebbero sembrare due piani diversi, ma non lo sono. Sia la sicurezza militare scandinava che quella finanziaria italiana sono fondamentali per garantire all’intera Europa un futuro stabile, prospero e pacifico. Spetta al premier Draghi dimostrare di non essere solamente un tecnico, ma di saper ragionare come politico. Ha un’occasione forse irripetibile per chiedere e ottenere dall’Europa ciò che in tutti questi anni non è stato possibile neppure discutere. Gli scandinavi sotto minaccia russa dovrebbero addivenire a più miti consigli. Una volta tanto, dovranno abbassare la cresta. E conviene agli stessi tedeschi, i quali patiscono l’alta inflazione, alla quale la BCE non sta volendo reagire per il timore di scatenare una nuova crisi dei debiti sovrani come quella del 2011.