Le piccole imprese pagano più tasse di quelle grandi. Lo si sapeva già, ma i dati snocciolati dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre hanno confermato la discrepanza (e l’ingiustizia) fiscale che regna nel nostro Paese fra chi possiede e dirige una grande impresa e chi invece è titolare di una piccola attività. Il contribuente più piccolo paga infatti l’11% in più di tasse delle grandi attività del settore industriale.
Piccole imprese pagano più tasse di quelle grandi
Più precisamente – rileva la CGIA di Mestre – nel 2018 i lavoratori autonomi e le piccole imprese hanno versato al fisco 42,3 miliardi di euro (pari al 53% degli oltre 80 miliardi di imposte versate da tutto il sistema produttivo).
“Come dimostrano i dati di questa elaborazione – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – l’apporto fiscale delle medie e grandi imprese è molto inferiore alle attese. Questo risultato è ascrivibile sia al loro esiguo numero sia all’elevata possibilità che queste realtà produttive hanno di eludere il fisco. Come ha segnalato recentemente il Fondo Monetario Internazionale, il mancato pagamento delle imposte da parte delle grandi multinazionali del web, ad esempio, sottrae ogni anno all’erario italiano circa 20 miliardi di euro”.
Il fatturato delle grandi imprese è pari al 32% del totale
E questa differenza è tanto più rilevante quanto più ingiusta fiscalmente se si guarda il rapporto fra grandi e piccole imprese sul nostro territorio. Il numero delle grandi imprese in Italia (quelle con più di 250 dipendenti) è ormai ridotto al lumicino. Viceversa le Pmi rappresentano l’ossatura principale del tessuto economico e manifatturiero italiano. Numericamente le grandi imprese sono circa 3.200 e rappresentano meno dello 0,1% del mondo produttivo italiano.
Tassazione insopportabile per le Pmi
In base a questi dati, la CGIA di Mestre chiede che venga riservata maggiore attenzione al livello di tassazione delle piccole e medie imprese che in Italia reggono le sorti dell’economia e del Pil. La tassazione continua ad attestarsi a livelli insopportabili e il credito viene concesso con difficoltà rispetto ai big players che, oltretutto, possono anche finanziarsi direttamente sul mercato. Un dato, su tutti, fa notare la CGIA di Mestre: l’ammontare del debito commerciale della Pubblica amministrazione nei confronti dei propri fornitori è di 57 miliardi di euro, di cui circa la metà riconducibile ai mancati pagamenti.
Per il segretario della Cgia Renato Mason, “la nostra Pa non solo paga con un ritardo ingiustificato, che nel dicembre del 2017 ci è costato un deferimento alla Corte di Giustizia Europea, ma quando lo fa non è più tenuta a versare l’Iva al proprio fornitore. Dopo l’introduzione dello split payment, infatti, le imprese che lavorano per il settore pubblico, oltre a sopportare tempi di pagamento lunghissimi, subiscono anche la mancata riscossione dell’imposta sul valore aggiunto che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare le spese correnti. Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto in questi ultimi anni – rileva – ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime piccole realtà aziendali”.