Una delle novità introdotte dal governo nella legge di Bilancio è la conferma della pensione con la quota 103 anche per il 2024. Continueranno ad esserci lavoratori che anche l’anno venturo potranno sfruttare l’uscita dal lavoro a partire dai 62 anni di età con 41 anni di contributi versati.

La misura nata con la legge di Bilancio del 2023, doveva durare per un anno. Invece lo strumento viene prolungato di 12 mesi. Ma proprio con la legge di Bilancio che introdusse questa misura la prima volta, fu introdotto anche il bonus contributivo che molti chiamano ancora bonus Maroni.

E recentemente l’INPS ha emanato un messaggio che aumenta il surplus di stipendio spettante a chi sfrutta l’agevolazione.

Ecco come funziona l’agevolazione e come si potrà sfruttare anche l’anno prossimo.

“Buonasera, mi chiamo Pietro e nel 2024 potrò andare in pensione con la quota 103. Ci sto pensando seriamente, anche se ho capito che ci saranno dei tagli e delle penalizzazioni sulla misura per l’anno venturo. Penalizzazioni che hanno deciso di imporre a partire dal ricalcolo contributivo dell’assegno. Tra febbraio e marzo completerò le settimane di contribuzione utili alla quota 103 e avendo già 63 anni di età credo di avere i requisiti idonei per andare in pensione. Volevo capire se restando in servizio e godendo del bonus Maroni anche nel 2024, potrei trovare più conveniente restare al lavoro piuttosto che andare in pensione. Perché sono combattuto sulla scelta da fare. Mi aiutate per favore?”

Aumenta il bonus Maroni sullo stipendio per chi rimanda la pensione, novità dall’INPS

Lo chiamano tutti bonus Maroni facendo riferimento a una vecchia misura di un governo Berlusconi con l’allora Ministro del lavoro, il compianto Roberto Maroni.

In pratica, grazie a questa agevolazione, il lavoratore che matura il diritto ad andare in pensione con la quota 103, può chiedere all’INPS un bonus sullo stipendio.

Si tratta di uno sgravio contributivo che permette ai lavoratori di godere di un incremento di stipendio commisurato a ciò che versano di contribuzione previdenziale. Parliamo di quota contributiva a carico del dipendente, che è pari al 9,19% dell’aliquota contributiva totale del 33%.

In altri termini, un lavoratore versa in genere il 33% della sua retribuzione previdenziale, all’INPS per accumulare pensione. Di questo 33% il 9,19% lo paga il lavoratore, mentre la restante parte la paga il datore di lavoro. Con il bonus questo 9,19% anziché versato all’INPS, finisce in busta paga, generando un incremento dello stipendio.

I messaggi INPS sul cosiddetto bonus Maroni

Il bonus va richiesto all’INPS, con procedura telematica il cui meccanismo e la cui entrata in funzione sono state oggetto del messaggio INPS n° 2426 del 28 giugno scorso. In pratica, si tratta di una procedura telematica per le domande di sgravio contributivo. Adesso però, sempre l’INPS e sempre con messaggio (stavolta il n° 4558 del 19 dicembre appena trascorso), ha aumentato il bonus. Perché oltre all’aliquota ordinaria del 91,9%, lo sgravio deve riguardare pure l’aliquota aggiuntiva.

Si tratta del versamento extra a cui sono assoggettati i lavoratori che hanno retribuzioni che sforano la prima fascia retributiva. Infatti la normativa per il 2023 prevede che sia a carico del lavoratore anche il versamento aggiuntivo dell’1% nel caso in cui il compenso del lavoratore ecceda 52.190 euro che è la soglia della prima fascia di retribuzione pensionabile.

La novità dell’INPS, anche l’aliquota aggiuntiva resta al lavoratore

Il messaggio è importante anche perché guarda al 2023, e quindi tutti i lavoratori che hanno sfruttato il bonus ma hanno recuperato di stipendio solo il 9,19%, dovranno recuperare gli arretrati. E l’INPS specifica nel suo recente messaggio, cosa devono fare anche i datori di lavoro nei flussi Unilav.

Per il 2024 la conferma del bonus potrebbe avere un maggiore appeal per via delle novità che sono state introdotte per la quota 103 nella legge di Bilancio.

Infatti la misura viene prolungata ma con correttivi meno favorevoli per chi lascia il lavoro.

E se a questo aggiungiamo il maggiore introito confermato dall’INPS per il bonus contributivo, ecco che moltissimi saranno i lavoratori che probabilmente sceglieranno la via della permanenza in servizio piuttosto che quella del pensionamento in anticipo.

La pensione con quota 103 è diventata molto penalizzante

Anche il nostro lettore potrebbe essere uno di questi. Uscire dal lavoro con la quota 103 permette di farlo a partire dai 62 anni di età con almeno 41 anni di contributi versati. Ma se fino al 31 dicembre il calcolo della prestazione è retributivo fino al 1995 (ma con 18 anni di contributi il calcolo retributivo si estende al 2012) e contributivo poi, nel 2024 sarà tutto contributivo. Pertanto, tutto penalizzante e per il resto della vita del pensionato.

Oltretutto, l’importo massimo di pensione con quota 103 nel 2024 sarà fino a 4 volte il trattamento minimo. E per chi avrebbe diritto a un assegno più alto, altri soldi persi, anche se “solo” per la durata dell’anticipo (fino ai 67 anni, ndr). Non si può non considerare anche il fatto che il governo ha deciso di cambiare le finestre per la decorrenza dei trattamenti.

Infatti si passa da 3 e 6 mesi, rispettivamente per lavoratori del settore privato e lavoratori del settore pubblico, a 6 e 9 mesi, sempre rispettivamente.

Due vie possibili, ma una nettamente sfavorevole, ecco il punto

Il lavoratore giunto a 62 anni di età con già completati 41 anni di contributi previdenziali versati, si troverebbe di fronte a un bivio. Perché da un lato rischia di trovarsi una pensione tagliata di oltre il 30% dal ricalcolo contributivo. Con tre mensilità in meno per via delle finestre di decorrenza più lunghe e con ulteriori perdite per via del tetto massimo di pensione fruibile.

Dall’altro lato invece si troverebbe di fronte a un possibile aumento di stipendio, con il 10,19% al mese in più da percepire fino ad arrivare ai 67 anni di età.

Senza considerare poi che restando al lavoro, si verserebbero più contributi. E ogni anno in più di contributi, aumenta la pensione futura. Infine, uscendo ad una età più avanzata, anche i coefficienti di trasformazione del montante contributivo in pensione sono più favorevoli.

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