Introdurre un sistema di tutela previdenziale per coloro che prendono pensioni molto basse. E’ questo il messaggio che arriva al governo alla vigilia della importante riforma pensioni in discussione coi sindacati.

Il carovita sta divorando il potere di acquisto dei pensionati che percepiscono assegni molto bassi. La maggior parte di essi sono ex agricoltori. Ma più del 44% versa in stato di semi povertà, con assegni inferiori a 500 euro al mese.

Pensioni minime a 650 euro

La richiesta di pensioni minime parte dall’Anp-Cia pugliese che per bocca del suo presidente Franco Tinelli auspica una riforma che non lasci scivolare in povertà migliaia di pensionati.

l’Anp-Cia – si legge in una nota – si batte da tempo per garantire rendite dignitose, guardando anche al futuro, a cominciare dall’equiparare progressivamente i minimi pensionistici al 40% del reddito medio nazionale (650 euro), come previsto dalla Carta Sociale Europea.

L’inflazione 2022 è prevista in forte rialzo e ciò comporterà per forza di cose un aumento dell’assegno a partire dal prossimo anno. Aumenti che saranno poco apprezzabili nella parte bassa delle pensioni, mentre lo saranno di più nella parte alta.

Oggi l’integrazione al trattamento minimo di pensione vale 524,35 euro al mese il che significa che, a particolari condizioni di reddito, l’Inps integra l’assegno fino a tale cifra. Da lì ad arrivare a 650 euro il passo è breve.

Integrazione al trattamento minimo

L’integrazione al trattamento minimo di pensione è tuttavia riservato solo a coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 1996. Per chi ha cominciato dopo, non è prevista alcuna rete di protezione sociale.

Se i contributi versati sono pochi e non consentono di raggiungere i 524,35 euro al mese, la pensione non può essere integrata e il lavoratore dovrà accontentarsi di poco. Il che significa fare la fame.

E’ quindi doveroso intervenire affinché gli attuali quarantenni al lavoro possano beneficiare di una pensione minima al momento opportuno.

650 euro al mese sono il minimo che uno Stato come l’Italia potrebbe assicurare a propri lavoratori che magari, vuoi per un motivo o per un altro, non hanno potuto completare un percorso lavorativo continuo e pieno.