Nel sistema pensionistico italiano i requisiti per andare in pensione sono diversi perché diverse sono le misure. I due strumenti principali per raggiungere l’obiettivo quiescenza sono la pensione di vecchiaia ordinaria e la pensione anticipata ordinaria. Due misure che non distinguono tra categorie di lavoro svolto. E non distinguono nemmeno tra lavoro pubblico e lavoro privato, tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Chi non raggiunge nessuno dei requisiti utili all’una o all’altra misura come fa?

In questo caso entrano in scena le misure alternative, che prevedono requisiti differenti.

Oppure entrano in scena altre soluzioni, come la Naspi, l’Assegno Sociale o l’Assegno di Inclusione. Però quando è un lavoratore autonomo a trovarsi di fronte a requisiti non ancora completati per lasciare il lavoro autonomamente, ecco che si può prendere un trattamento particolare. Che di importo è pari alla pensione con integrazione al trattamento minimo, ma che non è una vera pensione.

La domanda della nostra lettrice

“Buonasera, sono Renata, una donna di 60 anni che ha un negozio di calzature sull’orlo del fallimento. Il mio negozio è sito in un piccolo paesino e di utenti che vengono a comprare le scarpe ce ne sono pochi. Una volta invece lavoravo bene, ma anno dopo anno, i grandi centri commerciali, Internet e colossi dell’E-Commerce mi hanno distrutto l’attività. Come faccio a essere competitiva con gli sconti che fanno questi colossi? Come faccio a vendere tre paia al prezzo di due come fanno queste grandi aziende?

Sto fallendo. E con 60 anni di età e 20 anni di contributi già maturati non ho diritto a nessuna pensione. Perché non sono invalida, non appartengo a particolari categorie e non mi tocca nemmeno l’Assegno di Inclusione visto che il negozio è mio ed ho due case intestate che mi fanno salire i limiti dei patrimoni utili nell’ISEE.

Dimenticavo, sono piccola pure per l’Assegno Sociale. Come posso fare adesso a vivere? Sono disperata.”

Ben 598,61 euro al mese anche senza i requisiti per la pensione, bastano 57 o 62 anni

La nostra lettrice, commerciante, Partita IVA e lavoratrice autonoma non è l’unica che ha subito il contraccolpo della grande distribuzione prima e dell’E-Commerce poi. Basti pensare alle piccole salumerie, ai piccoli alimentari e alle piccole attività che hanno chiuso la saracinesca perché ormai nei grandi centri commerciali tutti trovano tutto ed è inutile andare nella piccola bottega sotto casa. Soprattutto perché anche i prezzi che possono fare questi colossi del commercio non sono paragonabili a quelli che possono fare i piccoli commercianti.

La disperazione però non è necessaria, perché se la chiusura della propria attività può portare ad una soluzione per poter andare avanti, anche se con cifre sicuramente non elevate. Parliamo di soggetti che non hanno ancora i requisiti per andare in pensione. Perché non hanno ancora centrato i 67 anni di età ed i 20 di contributi per le pensioni di vecchiaia. Oppure che non hanno completato i 42,10 anni di contributi per gli uomini o i 41,10 per le donne. E se un soggetto non è stato capace di completare nemmeno i requisiti per altre misure pensionistiche, in quanto commerciante, può rottamare la propria licenza.

Come fare per prendere una pensione che non è una pensione a partire dai 57 anni di età

Parliamo del permesso a svolgere una determinata attività commerciale. Un pezzo di carta che i più anziani hanno comprato a fior di milioni di lire ma che oggi non valgono praticamente nulla. Perché oggi aprire un negozio non prevede tutto l’iter che una volta era previsto per ottenere una licenza. E se si vuole subentrare ad una attività già aperta, non serve comprare la licenza dei precedenti proprietari, perché al Comune e con le Camere di Commercio averne una nuova non è difficile.

In termini pratici la licenza vale poco.

E se il proprio negozio sta per fallire, perché non chiedere all’INPS l’indennizzo commercianti? Si tratta di quella soluzione che tutti chiamano rottamazione della licenza. Se la titolare dell’attività è donna, la rottamazione si può avviare già a 57 anni di età. Se invece il titolare è un uomo, si parte dai 62 anni.

Ecco come funziona l’indennità di rottamazione della licenza commercianti

Questi commercianti che chiudono definitivamente la loro attività consegnando la licenza al proprio Comune, possono ottenere il cosiddetto indennizzo commercianti. Una rendita commisurata al trattamento minimo di pensione valido nell’anno della consegna della licenza al Comune. Nel 2024 per esempio, il trattamento minimo INPS è pari a 598,61 euro al mese e tanto vale l’indennizzo ai commercianti. Una misura valida ancora oggi ma che è nata molti anni fa con il Decreto legislativo numero 207 del 1996.

Oltre alle età prima citate, possono rottamare la licenza e godere dell’indennizzo i commercianti che risultano iscritti alla Gestione commercianti e artigiani dell’INPS, da non meno di 5 anni come titolari dell’attività rispetto alla data di cessazione della stessa. Prima di presentare la domanda di indennizzo commercianti gli interessati devono provvedere anche a cancellare dal Registro delle Imprese della Camera di Commercio la stessa attività.

Durata dell’indennità in attesa dei requisiti per la pensione

La prestazione si percepisce mensilmente e per tutti gli anni che mancano alla pensione di vecchiaia, cioè fino al compimento dei 67 anni di età. Durante il periodo di fruizione dell’indennità c’è anche la contribuzione figurativa, che però risulterà valida solo per il diritto alla pensione e non per il calcolo dell’importo della misura. Questo è ciò che ci sentiamo di proporre alla lettrice che dice di avere un negozio sull’orlo del fallimento. Ecco quindi come prendere una misura alternativa alla pensione per tutti gli anni che mancano ad arrivare ai 67 anni.

Ecco l’indennizzo commercianti da 598 euro al mese che può tornare utile anche senza i requisiti per la pensione.