Botta e risposta con due insegnanti di liceo: come vivono i docenti precari in Italia

Cosa vuol dire essere docenti precari oggi, quanto guadagna un insegnante in Italia e com'è cambiato l'insegnamento nel corso degli anni. Intervista a Chiara Giobergia e Giorgio Richetta insegnanti di lingua inglese alle superiori.
2 anni fa
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Docenti precari

Da sempre si parla di migliorare il mondo della scuola italiana dei docenti precari. Senza contare le varie riforme proposte per il reclutamento docenti che continuano a cambiare, a volte dall’oggi al domani.

Nel prossimo triennio il MISE intende assumere solo la metà dei posti effettivamente liberi: appena 63mila immissioni in ruolo nel periodo 2014/2017, a fronte però di 125mila posti vacanti e disponibili.

Lo rivela l’Anief che ha messo a confronto il piano di immissioni in ruolo al ribasso, preparato dal Ministero dell’Istruzione, con i dati reali sulle disponibilità, utilizzando anche i rapporti annuali della Ragioneria Generale dello Stato e dell’Inps.

Nonostante ciò, serpeggiano molti luoghi comuni attorno a questa professione: si lavora solo quattro ore a fronte di uno stipendio pieno garantito, senza grossi sforzi e con tre mesi di ferire all’anno.

Abbiamo fatto chiarezza sulla reale condizione degli insegnanti italiani, precari e sottopagati, intervistando Chiara Giobergia e Giorgio Richetta che insegnano lingua inglese alle superiori.

Come iniziare a insegnare: la testimonianza di due docenti ex precari

La carriera nell’insegnamento può iniziare appena conclusa la laurea come nel caso di Giobergia: “Ho iniziato nel 2014 subito dopo la laurea e vari tirocini in azienda. In seguito alle esperienze in stage, ho capito che dovevo seguire la mia passione che è sempre stata quella di insegnare. Così mi sono buttata e ho iniziato a lavorare nelle scuole private in partita IVA insegnando inglese agli adulti.

La partita IVA mi garantiva maggiori libertà ma poco continuità didattica per cui ho deciso di passare alle scuole pubbliche tramite GPS poco prima del Covid. Ad oggi, vivo a Torino e, dopo aver passato il concorso straordinario, insegno al liceo Botta di Ivrea (TO) nell’indirizzo classico e internazionale e durante le ore di potenziamento.” spiega.

Diventare docente precario dopo aver lavorato in un altro settore

Molti insegnanti diventano tali dopo aver fatto vari lavori precedenti come Richetta: “Avevo già in mente una carriera da insegnante ma non avevo mai avuto il coraggio di lasciare il precedente lavoro, salvo ritrovarmi per mesi in cassa integrazione durante la pandemia.

Quindi a luglio 2020 mi sono iscritto alle GPS (graduatorie provinciali per i supplenti) e sono stato convocato a novembre. Ricordo che quando entrai in classe gli alunni mi dissero che per due mesi non avevano praticamente mai fatto una lezione di inglese”

Come funziona il reclutamento dei docenti precari

Continua Richetta “Credo che questo sia il vero tasto dolente. Prima del Covid i docenti di una determinata classe di concorso venivano convocati in presenza e, in ordine di graduatoria, si sceglieva la sede di lavoro. La mia prima convocazione è arrivata tramite la piattaforma WebEx, a cui sono rimasto collegato dalle 8 alle 12.50.

Ora c’è il celeberrimo algoritmo. Ogni agosto (sempre nei giorni a ridosso di Ferragosto) si devono scegliere 150 preferenze sulla farraginosa piattaforma online, dopodiché l’algoritmo incrocia i dati e assegna automaticamente una cattedra se coincidente con le preferenze espresse dal candidato. Credo che di per sé la digitalizzazione sia una cosa assolutamente positiva, purtroppo però è stata fatta in maniera frettolosa.

L’algoritmo che decide quali docenti insegnerrano a settembre

L’algoritmo ha l’assoluto pregio di coprire la quasi totalità delle cattedre entro l’inizio delle lezioni a settembre, cosa che invece era praticamente impossibile con l’altro metodo, ma il suo limite è proprio quello: riempire le cattedre, non importa come.

Questo perché docenti con molti anni di insegnamento non hanno magari inserito determinate sedi e da settembre si sono ritrovati all’improvviso disoccupati; con l’altro metodo queste persone erano certe di avere un lavoro. Oppure perché l’algoritmo non tiene conto dei (troppi) docenti che rinunciano ad un posto dopo che gli è stato assegnato.

Quel posto non viene assegnato a chi spetterebbe, ma l’algoritmo continua a scendere nella graduatoria.

Ad esempio, a settembre mi è stato assegnato uno spezzone di 12 ore a 60 km da casa. Tutte le mie prime 10 scelte delle scuole sono state assegnate a docenti che hanno rinunciato; quindi, tutte e 10 sono state assegnate in automatico dall’algoritmo a docenti che hanno molti meno punti di me in graduatoria.

A conti fatti tra l’assegnazione part-time (e quindi con scadenza del contratto a giugno anziché ad agosto) e i costi per il trasporto quest’anno ci ho rimesso più di 7500€ (meno male che ora si chiama Ministero della scuola e del Merito!).

Molti miei colleghi vorrebbero tornare alla scelta della sede in presenza, io credo che basterebbe un sistema ibrido per rendere più efficace l’algoritmo. Una sorta di incrocio tra il vecchio e il nuovo, in cui la classe di concorso viene convocata online nello stesso giorno e, sempre in ordine di graduatoria, l’algoritmo assegna una sede.

Il docente ha quindi 1-2 minuti per accettare o rifiutare, e fintanto che non viene effettuata una scelta, l’algoritmo non continuerà a scorrere. In questo modo si evitano fin dal principio le ingiustizie per le rinunce di chi non vuole quella posizione.”

Differenza tra la normativa dei 24 cfu e dei 60 cfu

Sempre Richetta continua: “I 24 CFU sono nati per garantire le conoscenze in ambito psico-socio-pedagogico ai docenti. Purtroppo, si è rivelato un meccanismo in cui basta pagare senza studiare e si ottiene la certificazione.

12 CFU su 24 erano già inseriti nel mio piano studi universitario ma quando mi sono iscritto online, mi hanno detto che dovevo comunque pagare per intero e sostenere la prova finale per tutti e quattro gli esami.

Con la nuova normativa persistono molte zone grigie: ad oggi non è ancora ben chiaro il meccanismo, soprattutto per via del periodo di transizione fino al 2024.

Certamente un aspetto totalmente incomprensibile è quello che obbligherà i vincitori di concorso ad un contratto part-time per effettuare un tirocinio in classe. Moltissimi docenti, infatti, avranno già molti anni di insegnamento alle spalle, pertanto vedo questa normativa come l’ennesima presa in giro alla categoria”.

Come si vive da docenti precari

In merito al precariato, Giobergia afferma: “Non l’ho mai patito troppo perché a differenza di chi è di ruolo si hanno meno responsabilità, tra cui il coordinamento didattico. Inoltre, se più libero di sperimentare metodi di insegnamento diversi, quale funziona e quale non funziona oltre che imparare da contesti e gestioni scolastiche di dirigenti diversi.

I lati negativi non sono pochi e posso riassumerli come segue:

  • avere a che fare con tante, a volte troppe, classi;
  • doversi ricordare tanti nomi per non perdere credibilità e autorevolezza di fronte agli alunni;
  • ereditare classi e situazioni difficili da altri insegnanti senza conoscere il livello a cui sono arrivati i ragazzi;
  • capire ogni anno, come funziona l’istituto scolastico in cui insegni, com’è gestito anche a livello burocratico e pratico (dove sono le classi, la segreteria…);
  • svolgere un lavoro immenso per metterti al pari con chi ti hai preceduto e con i ragazzi per poi doverli subito lasciare a fine anno;
  • l’ansia di non sapere se insegnerai l’anno successivo, perché un algoritmo di esclude e potresti perdere un anno”.

Richetta aggiunge: “Sono una persona tendenzialmente ottimista: essere precari significa poter cambiare scuola ogni anno, per cui se gli studenti o i colleghi non vanno a genio si tratta di resistere un solo anno.

Di contro, credo che la cosa peggiore sia la mancanza di continuità didattica per gli studenti: crescere cinque anni con gli stessi professori non solo garantisce stabilità agli alunni, ma permette lo sviluppo di un sentimento di fiducia reciproca indescrivibile”.

Quanto è cambiato il mestiere dell’insegnamento nel corso degli anni

“Ho sempre lavorato al liceo e la mia esperienza e visione del mondo dell’insegnamento pubblico è limitata a questo tipo di istituti. Posso dire che il Covid è stato uno spartiacque importante. Ha creato un prima e un dopo. Penso che rispetto alla mia generazione, la scuola è, ormai, a prova di studente.

Gli studenti apprendono in modo diverso rispetto al passato: prendono appunti sul tablet, memorizzano in modo diverso rispetto al passato, non scrivono più su carta oppure hanno difficoltà a scrivere in corsivo.

Sono esplosi casi di disturbo dell’apprendimento e, quindi, anche gli insegnanti si devono adattare ad una sempre maggiore flessibilità, in particolare nelle forme di scrittura. Inoltre, il livello di attenzione si è abbassato, ci sono meno lezioni frontali ed è sempre più necessario impostare le lezioni in maniera partecipativa. È cambiata anche la valutazione si decide con lo studente senza imposizione.

Gli studenti di oggi hanno molte più fragilità, sono sottoposti a molte più pressioni e aspettative da parte della società e delle famiglie. Molti studenti portano a scuola i problemi domestici e possono scoppiare in crisi di pianto. I ragazzi presentano oggi una profonda emotività e, allo stesso tempo, fragilità e ansia da prestazione.

Richetta conferma: “Insegnando da poco non posso sbilanciarmi, ma sicuramente gli adempimenti burocratici sono aumentati a dismisura negli anni, così come le responsabilità verso i discenti”.

Docenti precari: lavorano poco e guadagna tanto?

Sulla questione stipendio, Richetta chiarisce: “Se ne parla molto spesso eppure non si riesce mai a fare totale chiarezza. Ritengo doveroso iniziare subito con una precisazione, credo che quella dei docenti sia una categoria privilegiata. Ho svolto diversi lavori prima di insegnare, ma questo non significa che bisogna togliere “privilegi” o diritti ad alcune categorie, bensì aumentarli alle altre!

Ad ogni modo la gente pensa che il lavoro del docente termini con il suono della campanella. Ma oltre alle 18 ore settimanali in classe bisogna considerare il tempo per preparare le lezioni. Per la correzione delle verifiche e i pensieri che ci tormentano costantemente quando i ragazzi hanno dei problemi. Un’ora a settimana è dedicata ai colloqui individuali con le famiglie. Mentre esiste un limite massimo di 40+40 ore annuali da dedicare ai collegi docenti, dipartimenti, consigli di classe ordinari e straordinari ecc.

Senza contare che per moltissimi precari i famosi tre mesi di vacanza non sono nient’altro che disoccupazione Naspi, in quanto i contratti spesso terminano al 30 giugno, se non addirittura, con la fine delle lezioni.”

Stipendio docenti

Giobergia aggiunge: “Un insegnante guadagna poco rispetto all’istruzione e alla responsabilità che ha. Lo scarto di stipendio tra un ATA e un docente è minimo. C’è anche molto lavoro: il cuore del nostro lavoro è sommerso. Ci va almeno 20 minuti di preparazione se non 4 ore per le lezioni, ogni giorno. Ogni settimana ho testi da correggere, riunioni con colleghi e famiglie.

Certo che se uno pensa che si lavora solo 18 ore e con 3 mesi di vacanza, la percezione è quella. Certo d’estate si è più tranquilli anche se si lavora, è anche a rischio burnout. Per essere maggiormente tutelati ci si può rivolgere a Cobas Scuola, il più attivo.

Come diventare insegnante (senza essere docenti precari a vita)

Richetta dice poi a chi vuole diventare insegnate: “Evitate di diventare docenti solo per garantirvi uno stipendio sicuro. Purtroppo, molti colleghi pensano solo ai soldi e non si rendono conto del danno che possono provocare al futuro dei ragazzi.

Invece il nostro compito è soprattutto quello di accompagnare gli studenti nella crescita, dobbiamo essere modello perché loro saranno l’Italia del futuro”.

E Giobergia conclude: “L’insegnamento è un lavoro di relazione tra soggetti: da un lato, tra il gruppo classe e il singolo studente e, dall’altro, tra lo studente e la materia.

In particolare, questa relazione deve essere coltivata con passione, pazienza e continui stimoli in modo da rendere autonomo lo studente. L’obiettivo finale è far avere una relazione con il mondo e gli eventi circostanti, in modo se non critico, almeno riflessivo”.

In sostanza, è un lavoro di connessione e se preso sul serio è emotivamente impegnativo. E occorre dedicargli molto tempo e la quasi totale interezza di sé stessi.

Lavorare su di sé, imparare, formarsi in continuazione e mettersi nei panni degli studenti. Solo così si riuscirà a svolgere questo mestiere con soddisfazione.

Farlo, insomma, per la cifra che arriva sul conto corrente ogni tot del mese, non serve.

Quindi, per chi vuole diventare insegnante occorre tanta forza di volontà. Bisogna sopportare i continui trasferimenti da una scuola all’altra e adattarsi per migliorarsi e migliorare il rapporto con gli studenti. Infine, sicuramente costanza.

Nel proseguire con questa carriera nonostante lo stress della burocrazia e tenacia nell’affrontare le nuove classi di ragazzi sempre più sensibili e confusi, in un mondo e una società che a sua volta sta diventando sempre più difficile e che spesso, fa perdere la propria identità.

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