La riforma pensioni latita e le probabilità che non si faccia diventano sempre più concrete col passare del tempo. La crisi ucraina ha sollevato altre preoccupazioni e il governo preferisce concentrarsi su altre priorità.

Ci sono però alcuni punti intorno ai quali non è più possibile fere rinvii. Uno di questi riguarda le pensioni minime che, a fronte del carovita, rischiano di generare nuove sacche di povertà in Italia. Allarme che è stato lanciato più che altro dagli agricoltori.

Aumento pensioni minime

La maggior parte delle pensioni al di sotto del trattamento minimo (524,35 euro al mese) sono ex agricoltori che vivono in stato di semi povertà.

Soprattutto al Sud e non si tratta di persone che percepiscono più di una pensione.

La richiesta di pensioni minime parte dall’Anp-Cia pugliese che per bocca del suo presidente, Franco Tinelli, auspica un intervento legislativo che non lasci scivolare in povertà migliaia di pensionati.

l’Anp-Cia – si legge in una nota – si batte da tempo per garantire pensioni dignitose, guardando anche al futuro, a cominciare dall’equiparare progressivamente i minimi pensionistici al 40% del reddito medio nazionale (650 euro), come previsto dalla Carta Sociale Europea.

L’inflazione 2022 è prevista in forte rialzo e ciò comporterà per forza di cose un aumento dell’assegno pensionistico a partire dal prossimo anno. Oggi l’integrazione al trattamento minimo di pensione vale 524,35 euro al mese il che significa che, a particolari condizioni di reddito, l’Inps integra l’assegno fino a tale cifra. Da lì ad arrivare a 650 euro il passo è breve.

Integrazione al trattamento minimo

L’integrazione al trattamento minimo di pensione è tuttavia riservato solo a coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 1996. Per chi ha cominciato dopo, non è prevista alcuna rete di protezione sociale.

Viceversa, per chi ha iniziato a lavorare dopo tale data, se i contributi versati sono pochi e non consentono di raggiungere i 524,35 euro al mese, la pensione non può essere.

Il che significa fare la fame.

E’ quindi necessario, anche senza riforma pensioni, intervenire su questo aspetto a salvaguardia delle rendite future dei quarantenni lavoratori. 650 euro al mese sono il minimo che uno Stato come l’Italia potrebbe assicurare ai propri cittadini.