In Italia c’è una normativa che consente a un lavoratore che ha perso il lavoro involontariamente di percepire un sussidio. Si tratta della Naspi, cioè della nuova assicurazione sociale per l’impiego nata con il Jobs di Matteo Renzi nel 2017. Ma l’indennità per disoccupati erogata come sempre dall’INPS non è nata con la Naspi perché in precedenza c’erano la disoccupazione ordinaria, la requisiti ridotti, la Aspi e la mini Aspi.

Dal punto di vista strutturale queste indennità funzionano tutte allo stesso modo.

Il lavoratore durante i periodi vuoto lavorativamente percepisce dietro domanda all’INPS questo genere di indennità.

Come salvare la Naspi dopo delle dimissioni volontarie e come perdere pochi mesi di indennità

Tutto è commisurato ai periodi di lavoro svolti in precedenza. Il fattore determinante però è sempre la perdita involontaria del posto di lavoro. Significa che chi si dimette non può percepire l’indennità, salvo nei casi di dimissioni per giusta causa. Ma i periodi di lavoro accumulati prima di dare le dimissioni, anche senza giusta causa, non si perdono e possono essere sfruttati per indennità negli anni successivi.

“Buongiorno, sono un lavoratore di 40 anni che si è appena dimesso dal proprio posto di lavoro. Vengo da 10 anni di lavoro consecutivi e ininterrotti con lo stesso datore di lavoro e purtroppo per via delle dimissioni che ho dato il mio patronato mi ha detto che non posso prendere la Naspi. Dal momento che prima di trovare un nuovo lavoro ho deciso di passare un periodo di riposo, volevo sfruttare comunque l’indennità. Ho paura di perdere i mesi di Naspi accumulati. Esistono soluzioni che mi consentono lo stesso di prendere la disoccupazione? Ripeto, non vorrei perdere i due anni di disoccupazione che credo mi spettino dal momento che vengo da dieci anni di lavoro consecutivo. Grazie mille per il servizio che offrite quotidianamente a noi lettori.

Indennità per disoccupati INPS, la misura in sintesi

La Naspi non è altro che l’indennità per disoccupati involontari, erogabile anche tutta insieme, che l’INPS riconosce ai lavoratori che perdono il posto di lavoro. Salvo nei casi di dimissioni volontarie in tutti gli altri casi un lavoratore ha diritto a chiedere all’INPS la corresponsione della Naspi. Che può durare massimo 24 mesi.

Questo vale per chi viene licenziato individualmente, per chi rientra nelle procedure di licenziamento collettivo, per chi proviene da scadenza di un contratto di lavoro a termine e così via dicendo. La Naspi per durata è pari alla metà delle settimane lavorate nei 4 anni che precedono la data della perdita dell’ultimo rapporto di lavoro.

Anche gli importi sono commisurati ai 4 anni precedenti e alla media delle retribuzioni utili ai fini previdenziali del lavoratore. Il nostro lettore ha maturato quindi 24 mesi di Naspi. Che non perde, o almeno non perde del tutto. Perché come vedremo, i 24 mesi sono già maturati, ma deve adoperarsi per trovare una soluzione che consenta di fatto di “sdoganare” la Naspi che al momento non è per lui fruibile visto che ha dato volontariamente le dimissioni.

La Naspi si salva con una nuova assunzione

Per entrare nel perimetro dei soggetti indennizzabili dalla Naspi, il nostro lettore non ha altra scelta che trovare un nuovo lavoro. Dovrà farsi assumere da un altro datore di lavoro, per poi essere licenziato da quest’ultimo, magari con un contratto di lavoro a termine anche di pochi giorni. Non certo un’operazione facile, ma non impossibile quella di trovare un nuovo impiego a termine.

In questo modo, la perdita del nuovo lavoro sarebbe involontaria, e permetterebbe di rientrare nella Naspi. Godendo anche dei periodi di lavoro svolti in precedenza anche se conclusi con le dimissioni.

Ma ogni giorno che passa senza assunzione, riduce i 24 mesi prima citati. Il periodo di osservazione parte sempre dalla data di cessazione dell’ultimo lavoro svolto. A ritroso l’INPS calcolerà il periodo di Naspi spettante, in base alle settimane lavorate nel quadriennio precedente.

Non è possibile non perdere nulla di Naspi se non si trova subito un nuovo lavoro

Un esempio chiarirà meglio ciò che diciamo. Un lavoratore che viene da 4 anni consecutivi di lavoro e viene licenziato, ha diritto a 24 mesi pieni di Naspi. Ma se nel 4 anni precedenti ci sono altri periodi già utilizzati per precedenti Naspi, non possono essere sfruttati per la nuova indennità. Allo stesso modo, se nei 4 anni precedenti ci sono periodi di non lavoro, questi non si sommano ai periodi di assunzione e non consentono di arrivare alla soglia dei 24 mesi prima citata.

Prendiamo ad esempio il nostro lettore. Ipotizzando che trovi un nuovo lavoro a febbraio 2024, con cessazione e scadenza del nuovo contratto il 28 febbraio. Se ha perso per dimissioni il lavoro precedente il 30 novembre, si troverà privo di assunzione, contributi e indennità per i mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024. Quando l’INPS verificherà la durata delle settimane lavorate nei 4 anni che precedono la perdita dell’ultimo lavoro, guarderà dal 28 febbraio 2024 indietro fino al 28 febbraio 2020.

Il lavoratore, dunque, non avrà 4 anni di lavoro consecutivi svolti (48 mesi), ma 3 anni e 10 mesi. Perché come detto due mesi sono stati vuoti in attesa della nuova assunzione. Potrà vantare 46 mesi di lavoro negli ultimi 4 anni e quindi godrà di 23 mesi di Naspi al massimo e non 24 mesi. Ecco perché non è vero che i periodi di lavoro maturati non si perdono. Tutto è una questione temporale.

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