Che fine fanno i soldi versati dal lavoratore nel caso in cui i contributi non siano sufficienti per la pensione? Come canta Marco Mengoni con il brano Due vite: “E dove sarai, dove vai quando la vita poi esagera, tutte le corse gli schiaffi gli sbagli che fai. Quando qualcosa ti agita, tanto lo so che tu non dormi dormi dormi dormi dormi mai. Che giri fanno due vite”.

Parole che molti lavoratori potrebbero dedicare ai contributi e ai dubbi che aleggiano su tale argomento.

Per accedere al trattamento pensionistico, infatti, bisogna possedere determinati requisiti anagrafici e contributivi. Purtroppo quest’ultimi non risultano essere sempre soddisfatti e proprio in tal caso è bene sapere cosa succede ai soldi versati e cosa fare per evitare di incorrere in spiacevoli situazioni.

Contributi non sufficienti per la pensione: che fine fanno i soldi versati dal lavoratore?

Circa il 33% dello stipendio è destinato ai contributi. Una somma particolarmente sostanziosa che porta ad avere ogni mese uno stipendio più povero di quello a cui si avrebbe diritto se non ci fosse l’obbligo di versare i contributi. In linea teorica non si tratta di un investimento a perdere. Questo perché, quanto pagato per i contributi, ritorna indietro grazie alla pensione. Ma cosa succede se i contributi non sono sufficienti per accedere al trattamento pensionistico? In quest’ultimo caso, purtroppo, non si ha diritto all’assegno pensionistico.

Se tutto questo non bastasse si perdono anche tutti i soldi versati nel corso della propria carriera lavorativa e non possono essere recuperati. Una vera e propria batosta, soprattutto considerando che si tratta di cifre particolarmente consistenti. Poniamo il caso di un lavoratore che ha versato contributi per 13 anni, percependo uno stipendio lordo pari a 2 mila euro mensili. Mediamente, se non raggiunge la pensione, rischia di perdere ben 111.540 euro.

Come evitare di perdere i soldi versati per i contributi

Per cercare di evitare di perdere i soldi versati per i contributi può rivelarsi utile informarsi il prima possibile sui requisiti minimi richiesti per accedere al trattamento pensionistico.

  Ad oggi, ad esempio, per ottenere la pensione di vecchiaia bisogna avere almeno 67 anni e maturato 20 anni di contributi. A tal proposito è bene sottolineare che non sempre un anno di lavoro corrisponde ad un anno di contributi.

Per questo, infatti, è necessario che lo stipendio percepito sia pari almeno ad un determinato importo che viene stabilito annualmente. Per quanto riguarda il 2024 è pari a circa 950 euro lordi mensili. Ne consegue che chi percepisce di meno, come ad esempio i lavoratori part time, devono lavorare più di dodici mesi per ottenere il riconoscimento di un anno di contributi.

Chi ha intrapreso la carriera lavorativa dopo il 1996, inoltre, deve rispettare un altro requisito. Ovvero l’assegno pensionistico deve essere pari almeno all’importo dell’Assegno sociale. Tale valore, nel corso del 2024, corrisponde a 534,41 euro mensili. Se non si raggiungono i requisiti richiesti, purtroppo, si perdono tutti i soldi versati per i contributi e non si può andare in pensione all’età di 67 anni.

Le persone che si ritrovano in questa situazione rischiano di dover attendere il raggiungimento del 71esimo anno di età. In quest’ultimo caso, infatti, non sono previsti limiti per quanto riguarda la liquidazione della pensione. Sono bensì sufficienti cinque anni di contributi, rispetto ai 20 richiesti negli altri casi.

Onde evitare spiacevoli sorprese, pertanto, si consiglia di restare aggiornati sui requisiti minimi richiesti per andare in pensione in modo tale da essere sicuri di raggiungerli. Ma non solo, è importante evitare di lavorare in nero poiché in questo caso non è possibile ottenere il riconoscimento dei contributi ai fini pensionistici.