Dopo quanti anni di lavoro si ripagano i contributi per la pensione? Come canta Diodato con il brano Fino a farci scomparire: “E ora lo vedi, con il tempo. Tutto sembra avere un senso, anche il nostro ritornare”. Parole che molte persone potrebbero dedicare al mondo del lavoro e della pensione.
Tutti i lavoratori, d’altronde, devono pagare i contributi per poi poter accedere alla pensione. Una vera e propria forma di investimento, grazie alla quale ogni contribuente si vuole assicurare un assegno previdenziale una volta usciti dal mondo del lavoro.
Dopo quanti anni di lavoro ti sei ripagato i contributi pensione
Circa il 33% dello stipendio viene destinato ai contributi. Una somma non di certo indifferente che porta ad avere ogni mese una retribuzione più povera di quella a cui si avrebbe diritto se non avessimo l’obbligo di provvedere al relativo versamento. Non si tratta comunque, è bene sottolineare, di un investimento a perdere. Quanto pagato per i contributi, infatti, ritorna poi indietro grazie alla pensione.
In linea generale è possibile affermare che ci vogliono mediamente dai 17 ai 23 anni per recuperare i contributi versati. Sapere a priori dopo quanti anni anni si ripagano i contributi per la pensione non è comunque possibile. Questo perché sono vari i fattori che contribuiscono a determinare l’importo della pensione. Tra questi si annoverano gli anni di contributi maturati e l’età anagrafica a cui si esce dal mondo del lavoro.
Per comprendere al meglio come siano determinanti i contributi ai fini pensionistici prendiamo il caso di un lavoratore che ha iniziato a versarli a partire da gennaio 1996 e che, pertanto, rientra nel sistema contributivo. Come già detto i contributi pesano per il 33% sulla basta paga. Di questi il 9,19% è a carico del dipendente, mentre la parte restante è a carico dell’azienda.
Metodo di calcolo contributivo: l’importanza del coefficiente di trasformazione
Il coefficiente di trasformazione consente di trasformare gli stipendi e gli anni di lavoro in pensione. Come si evince dal sito dell’Inps ai fini del calcolo si deve:
- “individuare la retribuzione annua dei lavoratori dipendenti o i redditi conseguiti dai lavoratori autonomi o parasubordinati;
- calcolare i contributi di ogni anno sulla base dell’aliquota di computo (33% per i dipendenti. Quella vigente anno per anno per gli autonomi […];
- determinare il montante individuale che si ottiene sommando i contributi di ciascun anno opportunamente rivalutati sulla base del tasso annuo di capitalizzazione derivante dalla variazione media quinquennale del PIL (Prodotto Interno Lordo) determinata dall’ISTAT;
- applicare al montante contributivo il coefficiente di trasformazione, che varia in funzione dell’età del lavoratore, al momento della pensione”.
Non necessariamente chi vanta tanti anni di contributi avrà diritto ad una pensione cospicua. Ad avere un ruolo importante è anche la retribuzione. Se nei primi anni di carriera si è percepito uno stipendio particolarmente basso rispetto a quello ottenuto nel corso degli ultimi anni di lavoro, pertanto, si avrà un assegno pensionistico più basso rispetto all’ultimo stipendio percepito.
Per ovviare a tale problematica potrebbe essere opportuno rimandare di qualche anno l’uscita dal mondo del lavoro per beneficiare di un coefficiente di trasformazione più alto. Quest’ultimo, infatti, è più elevato con l’avanzare dell’età. Ne consegue che più tardi si accede al trattamento pensionistico, maggiore sarà l’importo del relativo assegno. Ma non solo, più tardi si va in pensione, minore sarà il tempo necessario per recuperare l’investimento effettuato nel versare i contributi.