Con la manovra di bilancio 2023 possono iniziare a sperare i pensionati, con il doppio bonus pensione. Uno riguarda chi già non è più nel mondo del lavoro, l’altro, invece, chi, pur avendo i requisiti per la pensione, decide di continuare a lavorare.

La legge di bilancio varata qualche giorno fa dal governo Meloni, non presenta alcuna traccia sulla riforma pensioni che, pertanto, possiamo ufficialmente ritenere rinviata. Ci sono, comunque, alcune misure che hanno scongiurato il ritorno immediato alla legge Fornero (pensione a 67 anni di età).

C’erano da trovare delle soluzioni anche in vista della fine, al 31 dicembre 2022, di Quota 102 (pensione con 38 anni di contributi e 64 anni di età) e di Opzione donna ed Ape social. E le soluzioni sono state trovate.

Quota 103 e bonus decontribuzione

Al 1° gennaio 2023 entra in gioco la nuova Quota 103. Si tratta della possibilità di pensionamento per chi, matura:

  • 41 anni di contributi
  • e 62 anni di età anagrafica.

E qui, entra in gioco il primo bonus pensione. Prevista, infatti, una decontribuzione di circa il 10% per coloro che, nonostante la possibilità del pensionamento, decideranno di continuare a lavorare. Quindi, uno stipendio più alto nella misura dei contributi previdenziali a carico del lavoratore (che non verrebbero più trattenuti dalla sua retribuzione) e senza che ciò incida sull’importo della pensione che poi gli spetterebbe. La pensione, infatti, verrà calcolata tenendo conto della situazione in essere al momento in cui il lavoratore stesso ha maturato i requisiti.

Tornando a Quota 103, si tratta di un primo passo verso quella Quota 41 secca che vorrebbe la Lega di Salvini, ossia possibilità di uscire dal mondo del lavoro con 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica.

La manovra proroga anche Opzione donna ma con una piccola rivisitazione legata ai figli. Quindi, più che Opzione donna diviene Opzione mamma. C’è, infine anche la proroga di Ape social.

Il bonus pensione sulle minime

C’è poi l’altro bonus pensione, ossia l’aumento dell’assegno pensionistico minimo attualmente previsto e fissato a 523,38 euro.

Una indicizzazione del 120%, il che significherebbe (considerando anche tredicesima e quattordicesima) 628,05 euro in più all’anno e, quindi, circa 45 euro per ogni mensilità.

La misura sembra essere un primo passo verso quelle pensioni minime a 1.000 euro che il Centrodestra (in particolare Forza Italia di Berlusconi) ne aveva fatto il proprio cavallo di battaglia in campagna elettorale.

Si tratta di un qualcosa in cui i pensionati davvero sperano che arrivi quanto prima, perché vivere oggi con 600 euro di pensione al mese è a dir poco insostenibile.