Le pensioni anticipate ordinarie sono una delle due misure pilastro dell’intero sistema previdenziale italiano. Si tratta di una misura che, a differenza della pensione di vecchiaia ordinaria, non prevede limiti di età ma solo il raggiungimento della giusta carriera contributiva.

Per andare in pensione con le anticipate ordinarie nel 2024, servono 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne. Questa situazione rimarrà invariata anche nel 2025 e nel 2026, salvo novità attualmente inimmaginabili.

Va anche detto che, oltre alla carriera contributiva da raggiungere, è necessario attendere una finestra di 3 mesi per la decorrenza del trattamento.

Questa finestra può essere trascorsa continuando a lavorare, portando quindi l’uscita dal lavoro a 43 anni e un mese di contributi versati.

Tuttavia, oggi dimostreremo come, nel sistema previdenziale italiano, nemmeno 43 anni di contributi possono essere sufficienti per andare in pensione. Un nostro lettore ci dimostra che l’INPS può respingere la domanda di pensione a causa di alcuni requisiti ulteriori.

La domanda giunta in redazione

“Buonasera, sono un lavoratore a cui l’INPS ha negato la pensione. Credevo di aver fatto tutto correttamente e invece niente. Ho 43 anni e un mese di contributi versati e ho rispettato il vincolo dei 3 mesi di finestra oltre i 42,10 anni di versamenti, eppure non ho ottenuto la pensione anticipata. Il mio problema è che il mio datore di lavoro mi pressa perché gli avevo detto che sarei rimasto in servizio fino a 43 anni e un mese e poi mi sarei dimesso. Tuttavia, l’INPS sostiene che non ho raggiunto una contribuzione effettiva sufficiente per andare in pensione. Non capisco di cosa si tratti. Adesso sembra che io voglia restare al lavoro e il mio datore di lavoro è seccato. Potete spiegarmi cosa sta succedendo?”

Ecco quando nemmeno 43 anni di contributi bastano per andare in pensione anticipata

Il nostro lettore è il tipico esempio di lavoratore che ha raggiunto i requisiti per la pensione anticipata solo sulla carta.

Perché effettivamente ne manca uno che molti non considerano. Per le pensioni anticipate, e in generale per tutte le prestazioni che prevedono carriere superiori ai 35 anni di contributi, l’INPS richiede una giusta contribuzione effettiva per poter raggiungere la pensione. Altrimenti nulla da fare.

Le pensioni anticipate si ottengono con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini. E con 41 anni e 10 mesi per le donne. Da qualche anno, è necessario anche attendere una finestra di 3 mesi. Ma ciò che molti non considerano è il fatto che è necessario avere una carriera minima di 35 anni di contributi effettivi. Ovvero al netto dei contributi figurativi da disoccupazione o malattia.

Ed è questo il vincolo che probabilmente ha bloccato il pensionamento del nostro lettore. Che evidentemente ha avuto diversi periodi di malattie indennizzate dall’INPS e di disoccupazione.

Restare al lavoro ben oltre i 43 anni: a volte è così

Anche la quota 41 per i precoci prevede il vincolo dei 35 anni effettivi, trattandosi di una misura che, come le pensioni anticipate ordinarie, non ha limiti di età. Questo significa che è necessario rispettare questa condizione, altrimenti non si può andare in quiescenza. Il nostro lettore deve spiegare questa situazione al suo datore di lavoro, che evidentemente ha frainteso, così come il nostro lettore. Una cosa è la contribuzione generale, un’altra è quella effettiva. E su questo l’INPS non sbaglia, applicando solo la normativa vigente in materia di pensionamento anticipato.

Il lettore dovrà quindi contare quanti contributi mancano al vincolo dei 35 anni effettivi e solo allora potrà dire al suo datore di lavoro con certezza cosa gli manca per la pensione e quanti mesi ancora deve lavorare per andare in quiescenza.