In Italia l’evasione fiscale è una piaga dilagante che non trova similitudini in altri Paesi europei. Supera allegramente quota 100 miliardi e non sembra trovare un freno, fra malcostume radicato e diffidenza in un fisco iniquo.

Ma dove si radica più profondamente l’evasione fiscale in Italia? Si dice spesso che sono le grandi multinazionali o le web company a evadere tanto. Vero, ma solo in parte. Il grosso della sottrazione di risorse all’erario si annida fra lavoratori autonomi e le piccole imprese.

Evasione fiscale record fra gli autonomi

Secondo i dati dichiarativi del 2018, “l’evasione fiscale dell`Irpef riconducibile all`esercizio di attività d`impresa e di lavoro autonomo è stimata in 32,6 miliardi, con una propensione al gap del 67,6%”. Così il comandante generale della Guardia di finanza, Giuseppe Zafarana, in audizione sulla riforma dell’Irpef e altri aspetti del sistema tributario davanti alle commissioni Finanze di Camera e Senato.

Dai dai dati sulle dichiarazioni dei redditi di due anni fa si rileva che solo il 6,3% dei contribuenti Irpef ha un reddito derivante prevalentemente dall`esercizio di attività d`impresa o di lavoro autonomo. La maggioranza dei contribuenti detiene, in via principale, reddito da lavoro dipendente o pensione“.

Il 6,3% dei lavoratori autonomi evade 32 miliardi

Cosa significa questo? In pratica una percentuale così bassa di lavoratori, pari appunto al 6,3% del totale, è in grado di sottrarre al fisco oltre 32 miliardi di euro all’anno. Impressionante, non c’è che dire.

Questo la dice lunga, sia sul malcostume profondamente radicato nella nostra società. Ma anche sul fatto che il sistema fiscale italiano non è in grado di controllare adeguatamente i flussi di cassa e le attività. Inutile combattere il fenomeno con il cashback, la lotteria degli scontrini o i pagamenti elettronici.

In Italia, l’unica soluzione per costringere i lavoratori autonomi a dichiarare tutto al fisco è quella di togliergli l’uso del contante.

Solo così sarà possibile mettere un freno a evasori disonesti la cui radicata abitudine a non dichiarare redditi ha permesso loro, in molti casi, di arricchirsi alle spalle di chi le tasse le paga regolarmente fino all’ultimo centesimo. Come i lavoratori dipendenti e i pensionati.

Evasione fiscale in bar e ristoranti

L’evasione fiscale, come noto, vede al primo posto i bar e i ristoranti. Gli scontrini sono battuti solo nel 50 per cento dei casi e i gestori sanno quando emetterli e quando evitarli. Il fenomeno è diffuso soprattutto al Sud, ma anche al Nord non si scherza.

A rivelarlo sono le continue indagini condotte dalle associazioni dei consumatori che fanno notare quanto il fenomeno sia particolarmente dirompente in Italia. All’estero non è così diffuso e c’è più responsabilità sia da parte dei gestori che dei consumatori. Infatti anche i micro pagamenti, quelli per un caffè ad esempio, vengono effettuati con carte prepagate, bancomat o anche smartphone. Tutto semplice e tracciato.

Bar ai primi posti dell’evasione in Italia

Anche da noi i pagamenti elettronici nei bar esistono, ma pochissimi gestori li accettano per cifre basse. D’altra parte, non c’è alcun incoraggiamento a pagate con moneta elettronica. Non tanto per la comodità e rapidità di gestione del denaro, quanto proprio per fare del nero e quindi alimentare di conseguenza l’evasione fiscale. Così il cappuccino, piuttosto che l’aperitivo sono pagati in contanti e gli scontrini vengono battuti una volta ogni tanto.

Gli accertamenti da parte della Guarda di Finanza sono continui, ma il recupero delle somme evase è solo una goccia nel mare. I militari delle Fiamme Gialle fanno osservare che non si riesce a contenere il fenomeno perché troppo radicato nelle abitudini dei commercianti. Se viene fatta la multa a un gestore, poi, non è detto che il giorno dopo si metterà in regola: continuerà a fomentare l’evasione fiscale ha sempre fatto.

E il costo della sanzione vale il rischio che si corre.