Si dice sempre più spesso che per integrare la pensione pubblica è indispensabile sottoscrivere i fondi pensione o forme di previdenza integrativa. In pratica destinare parte del risparmio disponibile e indisponibile (Tfr) a gestioni finanziarie private con la promessa di un rendimento supplementare finale.

Niente di più falso. La pensione può essere benissimo integrata con una rendita vitalizia utilizzando il Tfr maturato e liquidato al momento della cessazione dell’attività lavorativa. In alternativa si possono acquistare, sempre coi soldi del Tfr, titoli di Stato o Buoni Fruttiferi Postali indicizzati all’inflazione.

La pensione integrativa attraverso i fondi

Ma allora perché tutti pompano per questa benedetta pensione integrativa attraverso la previdenza complementare dei fondi pensione negoziali, chiusi e aperti, i piani individuali pensionistici o i fondi preesistenti? La risposta è una sola: far affluire capitali alle banche che li affidano ai gestori ricavandone laute commissioni.

Lo Stato ha emanato a tal fine delle legge proprio per invogliare i lavoratori a sottoscrivere i fondi pensione. Grazie agli incentivi fiscali e ai contributi da parte dei datori di lavoro, il Tfr è sistematicamente espropriato per essere affidato ai banchieri.

Il lavoratore perde la disponibilità delle quote accantonate per il trattamento di fine rapporto. E fin qui, nulla da eccepire. Ma il problema è un altro. I lavoratori restano intrappolati nel fondo pensione anche per 40 anni, cioè fino a quando non vanno in pensione. Ammesso che ci arrivino. Quindi gli viene levato il diritto a uscire una volta entrati.

L’adesione ai fondi non è libera

Non solo. Da poco è stato levato al lavoratore anche il diritto di decidere consa fare del proprio Tfr. In base alla legge, il lavoratore dipendente ha 6 mesi di tempo dalla data di assunzione per decidere cosa fare del proprio Tfr. In assenza di decisione, questi soldi sono automaticamente dirottati dal datore di lavoro verso fondi pensione negoziali a cui aderisce.

Solo da questo si capisce che la macchina dei fondi pensione non brilla di luce propria. Se in base al principio del silenzio assenso (in questo caso silenzio consenso) ci si ritrova sottoscrittori di un fondo pensione deciso e stabilito dal datore di lavoro, viene meno anche il diritto alla disponibilità e tutela del proprio risparmio, così come previsto dalla Costituzione.

Difatti, non poche polemiche ha suscitato questa disposizione di legge che ha esteso di recente il meccanismo del silenzio-assenso anche al settore pubblico. Mentre per quello privato è applicato già dal lontano 2007.

I vantaggi fiscali

Come detto, la pillola dei fondi pensione è stata indorata dai vantaggi fiscali che suscitano sempre molta attenzione da parte dei lavoratori. Complessivamente, i fondi pensione offrono diverse agevolazioni. Vediamole.

Le tasse che si pagano sui fondi pensione e di conseguenza sulla pensione integrativa sono di due tipi. Una sta alla base, cioè ricade sugli accumuli e sui guadagni che il fondo pensione realizza fino al momento del riscatto. Si paga il 20% sui realizzi, detto anche capital gain.

Percentuale inferiore rispetto al 26% che si applica alla maggior parte delle forme di risparmio finanziario.

Vi sono poi le tasse sulla rendita. Cioè sull’assegno periodico che il fondo riconosce al momento del riscatto della pensione integrativa. L’aliquota è pari al 15% e si riduce dello 0,3% per ogni anno di partecipazione al fondo pensione dopo il 15 esimo anno, con uno sconto massimo del 6%. Quindi se un lavoratore versa per 35 anni beneficerà di una aliquota ridotta al 9%.

I rendimenti dei fondi pensione

Fin qui nulla da eccepire, vi sono dei vantaggi notevoli. Ma poi bisogne vedere se questi vantaggi, alla fine, si traducono realmente in una rendita migliore rispetto a quanto offerto dal Tfr lasciato in azienda. E qui è opportuno sfatare il mito che i fondi pensione battono il Tfr.

Il Tfr per anni, quando i tassi erano bassi, ha reso meno dei fondi pensione. Ma oggi, con il ritorno dell’inflazione le parti si sono invertite. Da gennaio a settembre, oltre 300 fondi aperti, hanno perso mediamente l’11,2% del proprio valore (dati Fida) a causa del crollo delle borse. Mentre il rendimento del Tfr è stimato in crescita del 5,2%

Ma anche se i fondi avessero reso negli ultimi 20 anni più del Tfr, il vantaggio sarebbe minimo se non addirittura impercettibile. Questo perché sulla gestione dei fondi pensione gravano innumerevoli costi di gestione occulti che nessuno conosce con esattezza. Insomma, non c’è trasparenza.

Le alternative per una pensione integrativa

Che alternative ci sono, quindi, ai fondi pensione? La soluzione più semplice, sicura, trasparenze e meno costosa è quella di destinare in tutto o in parte il Tfr in titoli di Stato. E’ la soluzione migliore per farsi una pensione integrativa al momento del bisogno.

Con la buona uscita, insomma, ci si può costituire una semplice entrata supplementare investendo i propri soldi lasciati per anni in azienda in Btp. I titoli di Stato a reddito fisso corrispondono interessi semestrali e possono benissimo sostituire i fondi pensione.

Di più, cosa non da trascurare, il capitale (garantito dallo Stato) viene restituito a scadenza o può essere liberamente venduto prima se necessario. In caso di decesso del pensionato, il Btp va in successione agli eredi e quindi non si perde. La pensione integrativa, invece, termina con il decesso del beneficiario e il capitale non è restituito.