La raccolta dei fondi pensione è in difficoltà. I rendimenti hanno ripreso a salire dopo il tonfo dell’autunno 2022 con il ritorno irruento dell’inflazione e ora per i gestori sembra sia tornato il bel tempo. Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica e la medaglia va sembra guardata da entrambi i lati, non solo da quello mostrato da chi vende il prodotto con tutti i rischi connessi.

In questo senso bisogna ricordare che ci vorranno anni per recuperare le perdite dei fondi pensione di due anni fa.

Non basta il ritorno della crescita dei rendimenti di pochi mesi o un anno per far tornare a splendere il sole. Dati alla mano, i lavoratori che hanno sottoscritto quote di fondi pensione negoziali o aperti all’inizio del decennio sono ancora in perdita oggi. Poi c’è il problema della raccolta.

Fondi pensione, la raccolta langue

Gli iscritti nel 2023 sono aumentai solo del 3%, a fronte di previsioni decisamente più ottimistiche. La campagna mediatica imbastita dalle organizzazioni finanziarie per denigrare le pensioni pubbliche evidentemente non è bastata o non ha attecchito a dovere. E questo è il vero problema dei gestori dei fondi pensione che hanno bisogno di sempre più adesioni come l’acqua per un assetato nel deserto. Già, perché le perdite accusate in passato possono essere ripianate prima del tempo solo grazie a nuovi contributori.

Poiché la platea dei lavoratori in Italia è limitata, è necessario pescare fra gli indecisi, gli scettici e gli ignoranti. In buona sostanza fra i giovani lavoratori, giacché i più anziani o hanno già aderito a forme di previdenza complementare o non ha senso che lo facciano se sono sull’orlo della pensione. Ma per i giovani c’è un problema di fondo che non può essere ignorato, né dai gestori, né dalla politica.

In buona sostanza, in nostro Paese è caratterizzato da un profondo stato di precarietà del lavoro, nonché da salari troppo bassi rispetto alla media Ue.

Fattori che incidono sull’aspetto previdenziale e non permettono a chi inizia oggi a lavorare di farsi una pensione integrativa. Posto che nemmeno quella obbligatoria sarà in grado di garantire un futuro dignitoso in vecchiaia.

Le pensioni private in Italia non possono crescere

A dirlo apertamente è Alberto Bagnai, presidente della Commissione di controllo sull’attività degli Enti Gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale:

la crescita dei fondi pensione è un elemento imprescindibile per lo sviluppo dei mercati capitali, ma le caratteristiche strutturali del primo pilastro, in particolare le aliquote contributive elevate, comprimono lo sviluppo del secondo pilastro“.

Non solo. L’ultimo report Ambrosetti mette in evidenza come non si possa sviluppare un mercato di fondi pensione robusto perché le giovani generazioni scontano un grosso vincolo di liquidità, oltre a un elevato livello di incertezza nel futuro determinato dalla precarietà.

Pertanto appare di completa inutilità il pressing sul governo da parte dei gestori dei fondi pensione affinché si riducano ulteriormente le imposte sulle rendite della previdenza complementare. Perché se non ci sono i soldi da destinare al secondo pilastro, non si va da nessuna parte e, anzi, lo Stato ne uscirebbe penalizzato da minori introiti fiscali. E’ come insistere con gli incentivi per le nuove auto elettrice quando la gente non ha soldi per comprarle. E poi ci sono i rischi

Riassumendo…

  • Le adesioni alla previdenza complementare non decollano.
  • I giovani non aderiscono alla previdenza complementare perché non hanno un lavoro stabile.
  • Anche il governo riconosce che c’è un problema di fondo nel mercato del lavoro giovanile.