Sfruttando la Naspi si potrà andare in pensione fino a 36 mesi prima della maturazione del diritto. E’ questa una delle possibilità che il governo sta mettendo a punto per rendere flessibile l’uscita dal lavoro in anticipo.

Ad annunciarlo ai sindacati è stata la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo nell’incontro che si è tenuto al Ministero lo scorso 14 ottobre 2020. In quell’occasione sono state illustrate le linee guida della riforma pensioni che si articolerà su due fasi diverse.

La prima prevede sostanzialmente la proroga di opzione donna, Ape Sociale e l’estensione di quota 41 riservata ai lavoratori precoci anche ai lavoratori fragili.

La seconda, prenderà in esame l’esaurimento di quota 100 nel 2021 e altri più importanti aspetti che riguardano i giovani, i precari e la possibilità di creare una pensione di garanzia minima per tutti.

In pensione prima con la Naspi

Fra gli altri aspetti esaminati, il governo ha intenzione di puntare molto sulla flessibilità. In particolare ricorrendo agli scivoli già previsti dalle precedenti leggi di bilancio, quali l’isopensione, i contratti di espansione, la staffetta lavoratori senior e nuovi assunti ricorrendo al part-time. Ma anche una nuova possibilità di agevolare gli scivoli pensionistici nel settore privato mediante il ricorso alla Naspi.

Per l’appunto, si starebbe studiando, per chi è in procinto di maturare i requisiti pensionistici previsti per la vecchiaia o la pensione anticipata, a una Naspi speciale fino a 36 mesi. Al momento la Naspi è riconosciuta come trattamento economico da parte dell’Inps per chi perde il lavoro e si trovi in stato di disoccupazione fino a 24 mesi.

Naspi di 36 mesi per favorire lo scivolo

La Naspi dovrebbe quindi accompagnare il lavoratore alla pensione, ma sarà necessario che il datore di lavoro integri l’indennità Inps con mezzi propri. La Naspi è infatti una indennità che viene calcolata in base alla retribuzione percepita negli ultimi 4 anni, ridotta del 25% per i primi quattro mesi.

Dal quinto mese, poi, diminuisce del 3% ogni 30 giorni e ha un massimale di 1.335 euro (per l’anno 2020).

L’azienda, dovrebbe quindi integrare mensilmente l’indennità Naspi con la differenza che il lavoratore percepirebbe di pensione al momento della maturazione del requisito. Non solo, andrebbero versati anche i contributi fino al giorno della domanda di pensione e al massimo per 36 mesi.

Vantaggi e svantaggi

Si tratta di una soluzione che renderebbe vantaggioso l’esodo per i datori di lavoro, ma meno conveniente per i lavoratori. In termini economici, la pensione calcolata col sistema misto di un operaio specializzato con 40 anni di lavoro e 67 anni di età è di circa il 68% della retribuzione. In sostanza, ad esempio, a una retribuzione media di 1.800 euro corrisponderebbe una pensione di 1.224 euro. L’integrazione del datore di lavoro andrebbe a compensare per 36 mesi la differenza fra l’indennità Naspi e i 1.224 euro di pensione attesa.

Per contro, il lavoratore rinuncerà a uno stipendio in busta paga da 1.800 euro al mese per 36 mesi. E’ evidente che il vantaggio sarebbe tutto per l’azienda e non per il lavoratore. A meno che l’azienda non riconosca dei bonus aggiuntivi o degli incentivi all’esodo. Cosa che possono fare solo le grandi società o le banche, ma non le piccole e medie imprese.