Che fine ha fatto la flessibilità sulle pensioni? Per settimane e mesi, prima del varo della Manovra, l’argomento flessibilità è stato centrale nella discussione relativa alla riforma delle pensioni. Un argomento vecchio di anni però. Anche durante i tanti appuntamenti tra Governo e sindacati, già dai tempi degli esecutivi PD guidati da Matteo Renzi prima e Paolo Gentiloni dopo, sulle pensioni la flessibilità è stata individuata come unica soluzione utile al superamento della riforma Fornero. Ma più se ne parla, più si spiazzano i contribuenti e i lavoratori.

A tal punto che qualcuno resta confuso su cosa potrà sfruttare per andare in pensione.

Ci chiede un lettore

“Buongiorno, vorrei da voi un chiarimento riguardo alle possibilità di andare in pensione nei prossimi due anni. Avevo capito che 30 anni di contributi potessero bastare per la flessibilità in uscita. Invece adesso comincio ad avere dubbi seri riguardo a questa possibilità. Io ho già 30 anni di contributi. Cosa posso fare per uscire dal lavoro adesso che ho fatto 62 anni di età il 20 novembre e sono ancora disoccupato come da 12 mesi a questa parte?”

La pensione con 30 anni di contributi è possibile?

Il nostro lettore ha ragione quando sostiene che la flessibilità in uscita con 30 anni di contributi è una soluzione. Ma lo è per quanto concerne le proposte e le ipotesi che sono state fatte ormai da anni e che dovevano essere parte integrante di una grande riforma delle pensioni che superasse la tanto famigerata riforma Fornero. Ma nulla è stato fatto da questo punti di vista, perché anche la quota 103 non è certo una misura che spicca per flessibilità. Se a un lavoratore viene chiesto di arrivare a 41 anni di contributi versati, anche se si parte da una età piuttosto bassa come lo è quella dei 62 anni, di flessibilità c’è poco o niente. E per chi ha 30 anni di contributi versati le opportunità restano collegate quasi esclusivamente alle pensioni con l’APE sociale.

APE sociale e 30 anni di contributi, quando si può?

L’APE sociale è una misura che permette di accedere a un assegno ponte tra i 63 e i 67 anni di età. Un assegno quasi assistenziale, perché riguarda persone che hanno una serie di problematiche e quindi piuttosto limitato come platea. L’APE sociale riguarda chi assiste un familiare convivente disabile grave (almeno 74%) da almeno 6 mesi prima di presentare domanda di APE (c.d. caregiver). E poi riguarda i disoccupati o gli invalidi con almeno il 74% di disabilità certificata dalle competenti commissioni mediche delle ASL (Aziende Sanitarie Locali). Infine, APE sociale pure per chi svolge da almeno 7 degli ultimi 10 anni della carriera, o da almeno 6 degli ultimi 7 anni uno dei tanti lavori gravosi previsti dallo scorso primo gennaio 2022. Elenco e relativi codici ATECO sul sito dell’INPS nella scheda dedicata proprio all’APE.

Tutte le limitazioni dell’APE sociale che non fanno perdere appeal alla misura

Limiti di platea ma limitazioni anche strutturali della misura. Non per niente c’è chi non considera l’APE sociale nemmeno come una vera e propria pensione. Si tratta infatti di una misura temporanea e di accompagnamento alla vera e propria pensione. Infatti si può percepire fino al raggiungimento della soglia dei 67 anni di età. Chi esce con l’APE sociale già a 63 anni, una volta compiuti i 67 anni dovrà passare alla pensione di vecchiaia ordinaria. L’assegno di APE sociale cessa di essere pagato al beneficiario no appena questi compi 67 anni di età. E deve essere l’interessato a presentare domanda di pensione di vecchiaia per tornare a percepire un trattamento. Inoltre si può prendere massimo un assegno fino a 1.500 euro al mese. Questa un’altra limitazione della misura. Ma non finisce qui, perché chi prende l’APE sociale non prenderà la tredicesima mensilità, non riceverà eventuali integrazioni al trattamento minimo e nemmeno assegni familiari e maggiorazioni sociali.

Infine, non è una misura reversibile in caso di prematura scomparsa del beneficiario.

I requisiti contributivi utili alla pensione anticipata APE sociale

Ma tornando al quesito del nostro lettore, lui stesso fa riferimento a una carriera di 30 anni di contributi. Per l’APE sociale servono 30 anni di contributi. Ma solo per le prime tre categorie, cioè disoccupati, caregiver o invalidi. Per i lavori gravosi invece servono 36 anni. Quindi, 30 anni di contributi nel 2023 serviranno probabilmente solo per chi punta all’APE sociale. Per il nostro lettore servirà attendere il 63imo anno di età, che compirà a novembre.