Ancora non è chiaro come saranno le pensioni nel 2025, ma è intenzione del governo porre fine una volta per tutte al sistema delle quote. Già adesso Quota 103 è diventata sconveniente, tanto valeva non prolungarla di un altro anno. Ma è quasi certo che dal prossimo anno sarà abolita. Probabilmente insieme a Opzione Donna.

Due misure rese ormai inutili e poco attraenti. Il ricalcolo contributivo per entrambe scoraggia i lavoratori e le lavoratrici a lasciare il lavoro a 61 o 62 anni pur avendone diritto. Così si punta a tagliare definitivamente entrambe le opzioni.

Al loro posto non ci sarà Quota 41 come vorrebbe tanto la Lega, ma un sistema flessibile in uscita. Come proposto dall’Inps.

In pensione da 64 anni, ma solo con una parte dell’assegno

Ma vediamo bene come potrebbe funzionare la proposta sulle pensioni allo studio dei tecnici dell’Inps. Secondo la massima istituzione in materia di previdenza, l’uscita anticipata potrebbe essere concessa a partire da 64 anni di età con una minima base contributiva ancora da stabilire. Ma solo per quanto riguarda la parte contributiva dei versamenti maturata. Cioè a valere su quella parte di assicurazione IVS maturata dal 1996 in poi.

Il resto della pensione, quello riguardante i contributivi versati prima del 1996, sarebbe liquidato dall’Inps al raggiungimento dell’età di vecchiaia (oggi a 67 anni). Questi contributi danno origine a una pensione notoriamente più vantaggiosa, ma allo stesso tempo più onerosa per lo Stato.

In buona sostanza la pensione mista, quella finora pagata con le regole attuali, sarebbe liquidata, non più in una unica soluzione, ma in due periodi diversi concedendo, però, al lavoratore la possibilità di godere di parte della rendita già a partire da 64 anni di età. Nel frattempo il lavoratore potrebbe continuare a lavorare per integrare il reddito.

In questo modo, montano le probabilità sulla possibilità di mantenere valido il requisito anagrafico a 64 anni per quando terminerà Quota 103 senza penalizzazioni di calcolo.

L’impianto così studiato e simulato dall’Inps sarebbe sostenibile finanziariamente, costerebbe meno, ma allo stesso tempo produrrebbe delle penalizzazioni per i lavoratori.

In pensione a 64 anni aspettando la vecchiaia

Ma veniamo ai vantaggi e agli svantaggi della pensione flessibile in due tranches. Premesso che oggi la maggior parte dei lavoratori percepisce una rendita liquidata per circa due terzi nel sistema contributivo e un terzo in quello contributivo, è bene fare due conti. In sintesi, percepire una prima parte di pensione a 64 anni e poi il resto al compimento dell’età della vecchiaia non significa attendere i 67 anni di età.

Dal 2026 l’età pensionabile potrebbe tornare a salire in conseguenza dell’aumento della speranza di vita. Si andrà quindi in pensione più tardi, a 67 anni e 2 mesi, per arrivare – secondo le previsioni – a 72 anni verso metà secolo. Il che significa che, una volta esaurite le pensioni retributive, si dovrà per forza considerare come via d’uscita la sola possibilità di uscire con la vecchiaia. Quindi 5 anni più tardi rispetto ad ora.

A 64 anni si potrà ancora lasciare il lavoro in anticipo con almeno 20 anni di contributi, ma il sistema vigente prevede che il diritto alla pensione si consegue solo se si potrà fodere di un assegno pari ad almeno 3 volte l’importo dell’assegno sociale. Cioè oltre 1.600 euro al mese, cifra decisamente  sopra la media nazionale e difficile da raggiungere se non avendo alle spalle una carriera dirigenziale.

Riassumendo…

  • Si torna a discutere del progetto della pensione in due tranche dal 2025
  • La pensione flessibile consisterebbe in una parte di rendita a 64 anni e il resto al raggiungimento della vecchiaia.
  • Quota 103 e Opzione Donna saranno probabilmente chiuse definitivamente.