Quello che diciamo sempre è che in genere in Italia per andare in pensione bisogna raggiungere una determinata età anagrafica e una altrettanto determinata carriera contributiva. Basti pensare alla pensione di vecchiaia ordinaria che si centra a 67 anni di età e con almeno 20 anni di contributi versati. la domanda comune a molti, però, è quella che riguarda una carriera contributiva più lunga di 20 anni e se questa permette di anticipare l’uscita senza aspettare i 67 anni. Molti si chiedono se al salire dei contributi si abbassa l’età pensionabile.

Una domanda interessante, e che non può non avere una risposta affermativa ma solo a determinate condizioni.

“Salve, volevo chiedervi se, dal momento che supero i 30 anni di contributi, devo aspettare comunque i 67 anni di età per la pensione? Ho appena compiuto 65 anni e volevo sapere se avevo qualche altra possibilità di pensionamento.”

Sistema a quota pura, impossibile da varare

Partendo dal presupposto che l’età pensionabile in vigore è pari a 67 anni e che la carriera minima per andare in pensione con questa età è pari a 20 anni di contributi, qualcuno si chiede se aumentando i contributi versati si abbassa l’età pensionabile. Una cosa del genere funziona solo in un sistema previdenziale ideale dotato della massima flessibilità. Un sistema che in Italia non è mai esistito e forse mai esisterà. Ma si tratta di un sistema classico, a quota e con flessibilità. Ma parliamo di quota pura nel senso che un anno in più di contributi versati abbassa un anno di età in termini di uscita dalla pensione.
Uno strumento del genere però è difficile da varare, anche perché rischierebbe, soprattutto partendo da una carriera contributiva di 20 anni, di mandare in pensione le persone troppo presto. Perché se ogni anno di carriera in più riduce un anno di età pensionabile, con 30 anni di versamenti un lavoratore uscirebbe a 57 anni di età.
Tornando alla realtà del sistema previdenziale nostrano, non si può certo dire che con tanti contributi, le vie di pensionamento non siano vantaggiose. Va detto che è innegabile che al salire dei contributi versati le persone possono uscire dal lavoro prima dei 67 anni di età.

Pensioni senza limiti anagrafici, ecco le possibilità

Misure che non hanno collegamenti con l’età anagrafica di un lavoratore ce ne sono. Per esempio con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini o con 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne l’uscita dal lavoro non ha limiti di età. Stesso discorso si può fare per chi rientra in quelle quattro categorie a cui si applica la quota 41 per i precoci. Parliamo di invalidi, caregiver, disoccupati e lavori gravosi. Sono le categorie che possono garantire l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi versati e senza limiti di età. A dire il vero però c’è anche una particolare misura (o meglio c’è una deroga a una misura ordinaria del sistema) che consente di anticipare la quiescenza di qualche mese rispetto ai 67 anni di età. Ma a fronte di 10 anni di contributi in più rispetto ai 20 previsti.

Pensioni a 66 anni e 7 mesi di età: ecco come con 30 anni di versamenti

La misura è sempre la pensione di vecchiaia ordinaria. Questa però per chi svolge un lavoro usurante o un lavoro gravoso non si centra con 67 anni di età. Ma con 66 anni e 7 mesi. Però al posto dei 20 anni di contributi minimi da versare, per uscire prima servono 30 anni.
Questa differenza interna a una stessa misura, cioè alle pensioni di vecchiaia, nasce da un fattore. Nel 2019 c’è stato l’ultimo scatto relativo all’aspettativa di vita per le pensioni dei lavoratori. Le pensioni anticipate arrivarono ai 41,10 e 42,10 anni di contributi prima citati (per donne o uomini).
Le pensioni di vecchiaia invece arrivarono alla soglia anagrafica dei 67 anni di età. Per chi svolge questi lavori considerati logoranti, lo scatto di cinque mesi non è stato applicato sulle età pensionabile. E quindi ancora oggi si può uscire con i requisiti che erano in vigore prima del 2019. Si tratta di un piccolo vantaggio di soli 5 mesi di anticipo.