Sarà possibile andare in pensione con quota 102 nel 2023 al di là della cristallizzazione dei requisiti?

La proposta dei Consulenti del lavoro è quella di garantire l’accesso a quota 102 rendendola più flessibile. Dunque, non più subordinata rigidamente ai requisiti anagrafici e contributivi di oggi ma adattabile, seppur con dei paletti, anche a coloro che non rispettano appieno i requisiti richiesti dalla norma.

Ecco cosa potrebbe cambiare con la riforma delle pensioni e cosa suggerisce la Fondazione studi Consulenti del Lavoro.

Quota 102 nel 2023.
Cosa potrebbe cambiare?

Secondo la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in base ai dati INPS, sono 470mila i lavoratori di età compresa tra i 61 e i 66 anni che presentano un’anzianità contributiva superiore ai 34 anni e inferiore ai 41. Soglia a partire dalla quale si può accedere alla pensione di anzianità. Il Governo dovrebbe introdurre un meccanismo che permetterebbe di combinare anzianità contributiva e vecchiaia. Estendendo la platea dei potenziali beneficiari di quota 100 e quota 102.

Nel documento ufficiale dei CDL “Alla ricerca della vera flessibilità: una nuova quota”, si legge che rispetto all’attuale Quota 100 “rigida”, che prevede l’accesso alla pensione con 38 anni di contributi e 62 anni di età, una Quota 100 “flessibile” consentirebbe di raddoppiare quasi la platea dei potenziali beneficiari con un incremento attorno all’81% dei lavoratori interessati. Tale formula raccoglierebbe soprattutto 65-66enni con un’anzianità contributiva superiore ai 35 anni (ma inferiore ai 38 attualmente richiesti) e aiuterebbe i lavoratori più vicini alla pensione di vecchiaia ad anticipare l’ingresso. Le stesse stime sono state realizzate anche con riferimento a Quota 102. Prevedendo la possibilità di estendere le combinazioni anzianità- vecchiaia oltre l’attuale “64+38”. Con l’adozione di un sistema flessibile, si legge nell’approfondimento, ci sarebbe un incremento dell’88,7% di lavoratori (soprattutto 66enni) con un’anzianità contributiva inferiore ai 38 anni necessari per poter andare in pensione. L’impatto sulla platea individuata con queste due forme flessibili (61-66enni con un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e massimo 40) sarebbe molto differente: la Quota 100 rigida (analoga a quella già osservata fra 2019 e 2021) intercetterebbe il 35,1% di questi lavoratori, mentre una forma più flessibile arriverebbe a coprire il 63,4%.

Più basso, invece, l’universo attivabile con Quota 102 (15,6% nella formula rigida, 29,5% in quella flessibile).

Sostenibilità sempre in primo piano

I CDL mettono sempre in evidenza che ogni misura adottata dal Governo che possa essere intesa quale riforma delle pensioni, deve sempre e comunque rispettare la sostenibilità del sistema pensionistico. Come ribadito più volte da Draghi, qualsiasi intervento sul sistema pensioni non può prescindere dalle risorse finanziarie a disposizione. In termini semplici, non si può fare il passo più lungo della gamba.

Da qui, secondo i CDL, solo considerando il valore medio delle future pensioni anticipate, sarà possibile individuare una formula che riduca il valore della pensione per garantirne la sostenibilità.

Per raggiungere questo scopo ci sono due scenari possibili:

  • una parziale conversione al metodo contributivo per i beneficiari di quote retributive di pensione o, ancora,
  • una riduzione percentuale proporzionale all’anticipo, secondo un meccanismo analogo rispetto a quello originariamente previsto dalla Riforma Fornero, per chi accedeva alla pensione anticipata con meno di 62 anni.

Vedremo se il Governo terrà conto dei suggerimenti dei Consulenti del Lavoro.

Ciò che è certo è che al momento il discorso sulla riforma delle pensioni sembra accantonato. Si inizia a parlare di mini riforma con un compromesso per il 2023.