La previdenza complementare è ormai entrata nello spettro delle nostre esigenze previdenziali. Imposto dalla grande finanza e dai sindacati come la pubblicità in televisione. Ma se una cosa è proposta con tanta insistenza da molti, siamo sicuri che sia la scelta giusta per un giovane lavoratore? E se sì, quanti conoscono realmente il funzionamento dei fondi pensione?

Ebbene la risposta è no. La previdenza complementare architettata dai fondi pensione non è la scelta ottimale per un giovane lavoratore. Non perché i fondi pensione non siano in grado di garantire ritorni soddisfacenti agli iscritti a un programma di accumulo, ma semplicemente perché il lavoratore resta incastrato nelle briglie dei meccanismi dei gestori.

Loro sì che fanno affari, anche se le cose dovessero andar male. E a volte succede.

Perché la previdenza complementare è una trappola

Al di là del fatto che sottoscrivendo un fondo pensione chiuso o aperto si affidano soldi (quelli del Tfr) a soggetti di cui si sa poco o nulla, il lavoratore va incontro a rischi difficilmente evitabili. Non dipende da lui, ma dall’andamento dei mercati finanziari. Come accaduto nell’autunno del 2022 col ritorno improvviso dell’inflazione che comportò il crollo dei rendimenti medi dei fondi pensione dell’ordine del 10-12%. Perdite che potranno essere recuperate solo nell’arco di un decennio. Intanto, però, sono soldi persi.

Ma la cosa più importante da sapere e che molti non conoscono quando decidono di destinare il proprio Tfr o Tfs alla previdenza complementare è che una volta entrati, non si può più uscire. In pratica, si firma di devolvere il trattamento di fine rapporto a un fondo di investimento dietro la promessa di un rendimento nel tempo (incerto) e di una rendita periodica calcolata in base allo stesso rendimento al momento del pensionamento.

Pertanto solo quando il lavoratore andrà in pensione terminerà il piano di accumulo e i versamenti.

Non ci sono altre possibilità di sottrarsi prima anche se uno pensa di aver sbagliato. L’adesione è per sempre, o meglio, fino alla pensione. Il che significa rimanere incastrati per molto tempo osservando l’andamento dei rendimenti che, purtroppo, a differenza della rivalutazione del Tfr, sono soggetti ad alti e bassi di mercato. In questo senso i fondi pensione non hanno nulla da perdere, anche se crollassero i mercati. Ma i lavoratori sì.

I rendimenti al netto di tasse e costi

Chi conosce bene il meccanismo della previdenza complementare offerta dai fondi pensione ne sta alla larga. Così incentivare i lavoratori a destinare il Tfr ai fondi pensione il governo ha promosso incentivi fiscali. Primo fra tutti la deducibilità ai fini delle imposte sull’Irpef che è pari a 5.164 euro all’anno. Anche i datori di lavoro, per parte loro, contribuendo ad alimentare le quote di Tfr dei lavoratori con un ulteriore contributo, possono beneficiare di sconti fiscali.

Piccoli bonus, però, che se affiancati ai torbidi costi di gestione dei fondi pensione ne annullano gli effetti positivi. Chi più e chi meno (dipende dal tipo di fondo pensione) si trattiene periodicamente una piccola percentuale del denaro destinato all’investimento nella previdenza complementare. In buona sostanza, i costi di gestione dei fondi pensione si mangiano il capitale nel tempo.

Ma non è tutto. Per incastrare ancor di più i lavoratori si sono inventati il silenzio-assenso. Un meccanismo diabolico in forza del quale se un lavoratore all’atto dell’assunzione non comunica espressamente al datore di lavoro di volersi tenere stretto il Tfr, questo è devoluto in automatico al fondo pensione negoziale al quale l’azienda ha aderito. Quindi, in caso di mancata scelta, alla scadenza prefissata, il lavoratore il lavoratore si troverà iscritto a un fondo pensione tramite silenzio assenso.

Riassumendo…

  • Chi aderisce alla previdenza complementare destina il proprio Tfr a un fondo pensione.
  • La scelta è irrevocabile fino al pensionamento con tutti i rischi sui rendimenti promessi.
  • La trappola del silenzio assenso per incastrare i giovani alla previdenza integrativa.