Per il licenziamento, l’ammanco di cassa non è sufficiente. Il giudice della Corte di Cassazioni chiamato a giudicare sulla legittimità di un licenziamento per giusta causa, deve accertare non solo i fatti contestati al lavoratore ma anche altre e differenti circostanze.

Licenziamento per giusta causa: presupposto oggettivo e soggettivo

In materia di licenziamento per ragioni disciplinari, anche se il CCNL preveda un determinato comportamento come giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso, il giudice deve comunque verificare l’effettiva gravità della condotta addebitata al lavoratore.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione pronunciandosi Corte di cassazione con la sentenza n. 18124 del 15.9.2016 sul caso di una lavoratrice licenziata per un ammanco di cassa. E’ consolidato il principio per il quale, nell’accertamento di licenziamento per giusta causa, la valutazione di gravità della condotta del lavoratore, tale da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, deve essere effettuata in relazione agli specifici elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta, quali:

  • il tipo di mansioni affidate al lavoratore;
  • gli eventuali precedenti disciplinari;
  • il carattere doloso o colposo dell’infrazione;
  • le circostanze di luogo e di tempo;
  • le probabilità di reiterazione dell’illecito.

Licenziamento per ammanco di cassa: la decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha, quindi, ritenuto illegittimo il licenziamento della dipendente, diversamente dalla Corte d’appello che ha valorizzato elementi di natura oggettiva, in quanto: “l’entità dell’ammanco accertato riveste oggettiva importanza in fattispecie connotata da intenzionalità della condotta, salvo che esso emerga come l’importo complessivo di una pluralità di episodi di negligente gestione della cassa“.

 L’incapacità della dipendente di fornire spiegazioni sulle possibili ragioni dell’ammanco non appare tale, in presenza di unicità di condotta disciplinarmente rilevante nel’’arco di un lungo rapporto lavorativo, da denotare un totale disinteresse per gli obblighi di custodia e conservazione delle somme incassate, gravanti sulla dipendente stessa, trattandosi di atteggiamento psicologico che richiede quanto meno la reiterazione nel tempo di episodi di univoco o convergente significato“. 

Peraltro, l’individuazione nella condotta addebitata alla lavoratrice di un grado di colpa idonea ad integrare una violazione degli obblighi contrattuali talmente grave sotto il profilo oggettivo e soggettivo, da spezzare in modo irrimediabile la fiducia datoriale, non risulta preceduta da un’analisi del contesto di regolazione interna dell’attività”.