L’inflazione spinge in alto le pensioni, dal 2023 più soldi per tutti

L’impennata dei prezzi al consumo fa crescere le pensioni, ma i maggiori benefici li ottiene chi uscirà dal lavoro nel 2023.
3 anni fa
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La crescita dell’inflazione spinge in alto le pensioni. Ogni anno gli assegni pubblici sono rivalutati in base al costo della vita (perequazione) che sta salendo vertiginosamente.

La crescita economica dello scorso anno ha già comportato una rivalutazione degli assegni del 1,9% nel 2022. Quest’anno, poi, l’inflazione è destinata a impennarsi a causa del rincaro delle materie prime e ci saranno nuovi aumenti degli assegni.

Pensioni più alte con inflazione alle stelle

Così la vertiginosa crescita dei prezzi al consumo obbligherà lo Stato a rivalutare le rendite di conseguenza.

Un fatto a cui non eravamo più abituati ad assistere da una decina d’anni a causa di una inflazione nulla o addirittura negativa.

A differenza dei salari che si adeguano a distanza di tempo, le pensioni sono rivalutate subito, in via provvisoria. A gennaio 2022, ad esempio, sono scattati gli adeguamenti a cui seguirà un ulteriore e definitivo incremento dello 0,2% degli assegni (conguagli).

E’ ancora presto per fare delle previsioni, ma – secondo le stime preliminari – nel mese di febbraio 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo registra un aumento dello 0,9% su base mensile indicando una crescita del 5,7% su base annua.

La rivalutazione del montante contributivo

Andrà comunque meglio per chi in pensione ci deve andare. Per costoro, la liquidazione della rendita passerà anche dalla rivalutazione del montante contributivo. Cosa che non può avvenire per chi la pensione già la prende.

Il montante dei contributi versati da ciascun assicurato è infatti rivalutato annualmente sulla base del tasso di capitalizzazione risultante dalla variazione media quinquennale del Pil. Poiché lo scorso anno il prodotto interno lordo è cresciuto del 6,6% (crescita più alta dal 1976), il valore del montante contributivo è in crescita.

La rendita, come noto è calcolata applicando al montante contributivo un coefficiente di trasformazione che è tanto più alto quanto più alta è l’età del lavoratore che si accinge ad andare in pensione.

Pertanto, chi andrà in pensione nel 2023, a parità di contributi versati e di età anagrafica, percepirà un assegno più alto rispetto a coloro che ci andranno nel 2022. La rivalutazione del montante contributivo è, infatti, operata al 31 dicembre di ciascun anno e ha effetto per le pensioni con decorrenza dal 1° gennaio dell’anno successivo.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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