Introdotti nel 2003, all’epoca della Legge Biagi, depennati nel 2017 e tornati in auge per cercare di risolvere almeno in parte la selva del mercato del lavoro. La prima Legge di Bilancio del Governo Meloni ripropone i voucher cartacei, o buoni del lavoro, come sono stati chiamati in passato. Strumenti che, almeno sulla carta, dovrebbero agevolare il quadro dell’occupazione ma che, nondimeno, hanno ricevuto più di qualche critica per la tendenza nell’aver indirettamente favorito l’aggiramento delle norme sul diritto del lavoro.

Chiaramente per una distorsione, operata da alcuni datori di lavoro, della disciplina normativa che li regolava. Circostanze che, parola dell’esecutivo, non dovrebbero ripetersi.

In primis per un miglior controllo dell’operato dei datori che ne faranno uso. E, in secondo luogo, per un’apertura dei sindacati che, in passato, era spesso mancata. Del resto, la rimozione del 2017 non era stata casuale. Le stesse sigle sindacali maggiori avevano più volte contestato la bontà dei voucher, ritenuti potenzialmente dal fianco scoperto alle pratiche di lavoro in nero. E persino il loro iter di istituzione non fu dei più semplici. Promossi nell’ambito della riforma del lavoro pensata dal giuslavorista Marco Biagi (ucciso dalle Nuove Brigate Rosse nel 2002), la legge (che ne prenderà il nome) arriverà a compimento l’anno successivo, a seguito di alcune revisioni andate avanti fino al mese di ottobre. L’operatività dei voucher arriverà solo nel 2004.

Cosa sono i voucher e a chi spettano

L’obiettivo della loro reintroduzione è stato chiarito più volte: disciplinare il lavoro occasionale accessorio e le prestazioni saltuarie. Favorendo, al contempo, la possibilità di incrementare l’occupazione stagionale. Si tratta del resto di una forma di pagamento a tutti gli effetti, con valore nominale per l’assegno erogato da 10 euro l’ora, ossia 7,50 euro netti. I buoni lavoro saranno a disposizione però solo per alcuni settori, allo scopo di disciplinare al meglio il loro utilizzo e, soprattutto, di circoscrivere il campo dei lavori saltuari, occasionali o stagionali.

Nello specifico, a partire dall’1 gennaio scatterà l’opzione per il settore dell’agricoltura, per l’industria alberghiera e per i servizi della cura della persona.

In quest’ultima categoria figurano in particolare i lavori domestici. Per tutti i fruitori, i voucher deterranno il medesimo valore nominale, con tetto di reddito per i lavoratori destinatari fissato a 10 mila euro l’anno. Una delle novità, visto che il tetto di reddito è stato di fatto raddoppiato rispetto ai precedenti 5 mila euro, sulla base delle normative introdotte con il decreto Dignità, riviste in funzione della nuova introduzione. Il voucher, così com’è, sarà quindi concesso per le prestazioni occasionali circoscritte entro tale soglia di reddito. A prescindere dal numero dei committenti.

Critiche e approvazioni

È chiaro che la reintroduzione di uno strumento così divisivo in passato sia destinata a far nuovamente discutere. Anche se, rispetto a qualche anno fa, le associazioni di categoria sembrano aver assunto posizioni più concilianti. Confesercenti, ad esempio, ha salutato il ripristino dei voucher come “una buona notizia”. Se non altro per la possibilità, per le piccole e medie imprese, di disporre nuovamente di uno strumento in grado di semplificare la gestione delle prestazioni da lavoro occasionale. Associazione concorde anche sul tetto al reddito, ritenuto un buon viatico contro eventuali abusi. Positiva anche la reazione di Coldiretti, che accoglie il ritorno dei buoni come una mossa volta alla semplificazione burocratica necessaria al lavoro nelle campagne.

Nel periodo del loro pieno utilizzo, fra il 2008 e il 2017, i voucher avevano fatto registrare un’emissione complessiva pari a 433 milioni. Aspetto non gradito ai sindacati principali, che ritenevano l’assenza di un tetto di utilizzo a carico del datore come una sorta di precariato estremizzato.

Il Governo Meloni accetta la sfida della revisione in positivo. Vedremo come andrà.