Senza dubbio uscire dal lavoro a 62 anni di età quest’anno è possibile solo con quota 103 ma con 41 anni di contributi versati. Ed è una cosa da considerare in positivo perché pare che una delle ipotesi più gettonate di riforma delle pensioni nel 2024 sia proprio quella di consentire una uscita anticipata a 62 anni a tutti. E con carriere non certo lunghe come la quota 103 prevede e nemmeno lunghe come invece funzionavano quota 100 e quota 102. Naturalmente come sempre quando si parla di riforma delle pensioni è necessario considerare la spesa pubblica.

Non basta inserire misure che consentono pensionamenti più solleciti. Serve trovare il modo per riuscire a far quadrare comunque i conti anche di fronte ad una misura così vantaggiosa nei requisiti per uscire dal mondo del lavoro. E non c’è soluzione migliore che non sia quella dell’imporre il calcolo contributivo della prestazione a tutti i lavoratori.

Un nostro lettore ci chiede a proposito della pensione a 62 anni

“Buonasera, sono un lavoratore dipendente nel settore privato, con una carriera più o meno lunga 30 anni di contributi. Sto seguendo attentamente tutte le cose che si dicono sulle pensioni per il prossimo futuro. In pratica sono interessato è molto alla riforma delle pensioni che dovrebbe consentire proprio a chi ha 62 anni di età di uscire dal mondo del lavoro. Sento anche dire che per chi uscirà prima dal lavoro bisognerà fare i conti con il calcolo col sistema contributivo. Conosco bene quello che significa contributivo, e cioè che la pensione è calcolata in base ai contributi versati e non alle ultime retribuzioni. Ma come si fa a calcolare una pensione solo con il sistema contributivo? Mi spiegate i vari passaggi?

La riforma delle pensioni e il sistema contributivo per tutti

Effettivamente è proprio come dice il nostro lettore, e cioè che la pensione calcolata con il sistema contributivo è calcolata in base all’ammontare dei contributi versati durante la carriera lavorativa.

Un sistema completamente diverso da quello retributivo che invece calcola le pensioni in base alle ultime retribuzioni che un lavoratore ha avuto durante la carriera. Ed è vero anche che con il sistema contributivo, sistema che fa venir fuori pensioni più basse di quelle retributive, il costo della riforma pesa sui lavoratori.

Il meccanismo ormai è noto, perché anche se consente di andare in pensione dai 62 anni di età, fa spendere più soldi alle casse dello Stato nell’immediato, ma poi la tendenza si ribalta. Perché anche se la pensione erogata è più bassa, alla fine e nel lungo termine sarà il pensionato a rimetterci mese dopo mese. Consentendo il recupero dell’esborso in più per gli anni di anticipo, da parte dello Stato. Una penalizzazione di assegno in pratica spalmata per oltre 20 anni se si tiene in considerazione la vita media degli italiani che è intorno agli 82 anni di età.

Il sistema contributivo e perché è penalizzante per chi vuole andare in pensione a 62 anni

Il sistema retributivo e il sistema contributivo sono alternativi tra loro, anche se da sempre convivono. Perché per chi ha iniziato a versare i contributi prima del 1996, il calcolo della prestazione è con il sistema misto. Significa che una parte della pensione si calcola col sistema retributivo, mentre un’altra parte con il sistema contributivo. Molto conta il periodo di lavoro svolto nel sistema  retributivo e cioè prima del 1996. Infatti coloro i quali hanno 18 o più anni di contribuzione versata nel sistema retributivo, possono godere del calcolo più favorevole della prestazione fino a tutto il 2012.

Chi invece ha meno di 18 anni di contributi versati al 31 dicembre 1995, gode del calcolo retributivo solo fino al 1995. Per chi invece ha iniziato a lavorare dal primo gennaio 1996 il calcolo della prestazione non può che essere completamente contributivo.

È evidente che per i lavoratori con carriere più lunghe di 18 anni al 31 dicembre 1995, la penalizzazione sarebbe maggiore.

Cosa comprendere del calcolo contributivo della pensione

Per capire il calcolo contributivo della prestazione bisogna risalire alle modalità di accumulo dei contributi versati. In effetti la prestazione viene calcolata sommando tutti i contributi versati durante gli anni di carriera. Va ricordato che un lavoratore destina alla propria futura pensione il 33% dello stipendio percepito mese per mese. Si tratta dell’aliquota contributiva vigente che come dicevamo è pari al 33%. La somma di tutti questi soldi messi da parte per la pensione futura finiscono in una specie di salvadanaio che si chiama montante dei contributi.

Ogni anno i contributi messi nel contenitore vengono rivalutati al tasso di inflazione. Alla fine, quando è il momento di andare in pensione, il salvadanaio viene aperto. E il totale, rivalutato come detto prima, viene passato per dei coefficienti di trasformazione che servono proprio per trasformare i versamenti in pensione.

Da cosa è composto il montante dei contributi

Nel montante finiscono tutti i tipi di contributi, da quelli obbligatori a quelli volontari, dai contributi figurativi a quelli provenienti da riscatto o da ricongiunzione. L’età di uscita dal mondo del lavoro genera un coefficiente meno favorevole in maniera inversamente proporzionale all’età di uscita. Più giovani si lascia il lavoro, meno favorevole è il coefficiente. Se la nuova riforma delle pensioni avrà nel sistema contributivo la soluzione, è evidente che si arriverà a pensioni sempre più basse rispetto al sistema retributivo che spesso però apriva a delle pratiche poco lecite o quanto meno, moralmente poco degne.

Infatti non era raro che sul finire delle carriere un lavoratore godeva di scatti di livello o promozioni, utili a far incrementare lo stipendio. E uno stipendio più alto sul finire della carriera, finiva con l’incrementare la pensione. Che spesso era più alta degli stipendi medi percepiti durante la carriera.

Il sistema contributivo è più equo

Secondo i “tifosi” del sistema contributivo, questo è più equo di quello retributivo.

E molto dipende da quelle pratiche poco morali prima citate. Infatti con il sistema contributivo la pensione di un lavoratore è proporzionata a ciò che ha messo da parte, cioè a ciò che ha versato. Ma è anche vero che essendo l’aliquota contributiva basata sullo stipendio, la retribuzione non ha perso del tutto importanza. Anche se incide meno essendo il 33% dello stipendio ciò che un lavoratore lascia alla pensione.