La riforma delle pensioni è uno dei temi più caldi e dibattuti del panorama politico ed economico italiano. Dal 2023, infatti, scadranno le misure transitorie e temporanee che hanno consentito di anticipare l’uscita dal lavoro con diversi strumenti a molti lavoratori. Scadono infatti la Quota 103 e Opzione Donna, l’Ape sociale e non resteranno che le misura ancorate alla legge Fornero. Con l’età pensionabile fissata a 67 anni per tutti.
Ma c’è una proposta alternativa, avanzata da tempo che consentirebbe di dotare il sistema della giusta flessibilità.
“Buonasera, volevo chiedervi se avere novità riguardo alla vecchia proposta delle pensioni di Pasquale Tridico. Ho sentito che il Governo sembra intenzionato a sostituire il Presidente dell’INPS che pare sia contrario a qualsiasi ipotesi di riforma delle pensioni. Però ricordo che tempo fa fu proprio il Presidente dell’INPS a proporre una riforma delle pensioni”
Pensione anticipata a 63 anni ma non intera, ecco come funzionerebbe
La proposta di Tridico prevede la possibilità di andare in pensione a 63 o 64 anni con un assegno ridotto perché pagato solo in parte. Ma che garantirebbe una maggiore flessibilità nell’accesso alla prestazione previdenziale. Perché proprio il fatto che non sia intera la pensione, spingerebbe qualche lavoratore a scegliere la strada dell’uscita già a 63 anni, altri a posticiparla ed altri ancora a rimandare tutto alla pensione di vecchiaia ordinaria.
Ecco che questa vecchia proposta, soprattutto perché proveniva dall’INPS, sembrava idonea ad avere una maggiore possibilità di introduzione. Lo dimostrano anche le ultime esternazioni di Tridico, completamente in disaccordo con il Governo su qualsiasi introduzione di misure che alleggeriscano la spesa previdenziale. Il fatto che in Italia sono più i pensionati che i lavoratori mette in risalto il fatto che l’INPS ha più spese che introiti. Perché le pensioni oggi vengono pagate coi versamenti contributivi dei lavoratori attuali.
Una parte di pensione subito a 63 anni, il resto a 67, ecco la riforma delle pensioni INPS
Se la via di una pensione in due quote è stata proposta dall’INPS, è evidente che ci siano bontà in termini di calcoli della spesa che lo Stato dovrebbe sostenere. Con questa misura l’INPS consentirebbe ai lavoratori di scegliere se andare in pensione prima dell’età prevista dalla legge Fornero, con un assegno ridotto, e a libera scelta a partire dai 63 anni di età. L’accesso alla pensione sarebbe ad appannaggio di soggetti che hanno iniziato a lavorare prima del 1996 e quindi che hanno una pensione mista (in parte contributiva e in parte retributiva).
Come dicevamo servirebbero almeno 63 o 64 anni di età, almeno 20 anni di contribuzione e una quota di pensione calcolata con il metodo contributivo che non deve essere inferiore a 1,2 volte l’assegno sociale. Una parte di pensione subito a 63 anni, il resto a 67, ecco la riforma delle pensioni INPS quindi. E la parte di pensione immediata sarebbe quella contributiva.
Pensione divisa in due quote, ecco come
La proposta Tridico prevede che il lavoratore possa accedere a una prestazione di importo pari alla quota contributiva maturata alla data della richiesta. E calcolata come naturale che sia, con il sistema contributivo puro. La pensione completa, che si otterrebbe al raggiungimento dell’età di vecchiaia (67 anni), avrebbe dentro anche la quota retributiva. Stime fatte dai tecnici sostengono che la pensione così liquidata, a 63 anni, avrebbe circa il 20% in meno rispetto alla pensione completa a 67 anni. Molto però cambia in base al numero di anni di contributi antecedenti il 1996. Perché meno contributi sono stati versati nel sistema retributivo, meno alta sarà la differenza tra la pensione liquidata subito e quella a 67 anni.
I calcoli sulla sostenibilità di una misura di questo genere
La proposta Tridico secondo l’INPS ma anche secondo alcuni esperti, sarebbe sostenibile dal punto di vista finanziario per le casse dello Stato. Che poi è il limite che ingessa tutte le ipotesi di riforma del nostro sistema. Sarebbe di circa 2,5 miliardi per i primi tre anni di funzionamento l’esborso per le casse dello Stato, ma dal 2028 la misura produrrebbe guadagni e recupero del maggiore esborso sostenuto. Ipotesi fattibile quindi, anche perché, la riduzione dell’assegno pensionistico, che potrebbe compromettere il tenore di vita dei pensionati, sarebbe un deterrente per molti potenziali richiedenti. Che se non sopportano questo calo del loro tenore di vita, dovrebbero essere spronati a restare in servizio.
Ripetiamo, siamo davanti ad una ipotesi e nulla è certo. Ma è anche vero che si tratta di una proposta che punta sulla flessibilità e sulla sostenibilità del sistema previdenziale. Entrambi obbiettivi che la misura sembra in grado di garantire per quanto detto prima.