Il punto cardine del nostro sistema pensionistico è l’età anagrafica di 67 anni. A tal punto che si chiama età pensionabile. Ciò vuol dire che a 67 anni un contribuente dovrebbe avere il diritto di accedere alla pensione. Dovrebbe, perché per via delle pesanti regole Fornero, la pensione a 67 anni non può essere considerata una cosa certa al 100%. Sui contributi, va fatto un discorso simile. Infatti 20 anni è la soglia minima contributiva per le pensioni, ma è una soglia a volte solo ipotetica. Infatti 20 anni di contributi versati sono l’età contributiva utile con i 67 anni di età anagrafica.

Ma ci sono possibilità che 20 anni non bastino nemmeno a 67 anni, così come ci sono possibilità che questa carriera sia sufficiente per la pensione, anche senza i 67 anni di età.

Una lettrice ci chiede

“Buongiorno, sono Marta, una signora single con 20 anni di contributi appena raggiunti e 63 anni di età. Non ho più lavoro e non ho redditi intestati tranne quelli della casa dove abito. Cosa posso fare per la mia pensione nel 2023?”

Aspettativa di vita congelata

Nel 2023 la pensione di vecchiaia continuerà a essere percepita da quanti raggiungono l’età pensionabile minima di 67 anni e la carriera contributiva minima di 20 anni di contributi versati. Da questo punto di vista niente è cambiato. Quindi è la misura resta praticamente identica a come l’abbiamo vista dal 2019 a oggi. Infatti fu nel 2019 che anche sull’età pensionabile, e quindi sulla pensione di vecchiaia, si abbatté l’aumento di 5 mesi dovuto dall’aumento della vita media degli italiani. Infatti prima di allora l’età pensionabile minima da raggiungere insieme ai vent’anni di contributi previdenziali versati era pari a 66 anni e 7 mesi di età.

Oggi a 67 anni si prende anche l’assegno sociale, che prima godeva di un trattamento anagrafico agevolato. Ma nonostante tutto, c’è chi a 67 anni con 20 anni di contributi in pensione non può andare.

Questo il caso dei contributivi puri, cioè di soggetti privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 che per la loro pensione a 67 anni devono raggiungere un assegno pari a 2,8 volte l’importo in vigore dell’assegno sociale (468,28 euro al mese nel 2022).

La pensione a 66 anni e sette mesi di età nel 2023

Lo stop all’incremento della vita media degli italiani ha portato di fatto a un congelamento dell’età pensionabile che non è più stata adeguata dal 2019 a oggi e che quindi anche nel 2023 farà sì che l’età di uscita della pensione di vecchiaia sarà sempre quella a 67 anni. Ci sono delle particolari categorie di lavoratori però che non hanno subito questo incremento nel 2019.

Infatti chi svolge una delle 15 attività di lavoro gravoso previste per la quota 41 per esempio, non deve arrivare per forza di cose a 67 anni di età per poter accedere alla pensione di vecchiaia nel 2023. Basterà infatti arrivare a 66 anni e 7 mesi di età. Stesso vantaggio per chi svolge uno dei cosiddetti lavori usuranti, quelli per cui l’INPS dal 2011 ha una disciplina particolare che prevede l’uscita con la quota 97,6. Va detto però che in questo caso, per tutte le categorie di lavoratori a cui non si applica l’incremento 2019 della stima di vita degli italiani, la carriera utile per uscire dal lavoro è pari a 30 anni e non a 20.

Cosa significa avere 20 anni di contributi e una invalidità pensionabile dell’80%

Sempre 20 anni di contributi versati invece è una carriera utile e sufficiente per uscire dal lavoro a 56 anni di età per le donne o a 61 anni per gli uomini. Infatti chi ha questa età e ha anche una invalidità pensionabile pari al 80% almeno, può uscire davvero a un’età così anticipata rispetto agli altri. A dire il vero però bisogna attendere 12 mesi di finestra per poter godere del primo trattamento pensionistico utile.

Resta il fatto che si tratta di una misura nettamente vantaggiosa dal punto di vista anagrafico. Ed è probabilmente quella che, soprattutto per le donne, prevede lo sconto maggiore in termini di età di uscita per la pensione.

La pensione con 20 anni di contributi, altre vie di uscita poco conosciute

Chi si trova a 5 anni di distanza dalla pensione di vecchiaia ordinaria, o dalla pensione anticipata ordinaria, può godere di una uscita con assegno di prepensionamento pagato dalla propria azienda. Si chiama contratto di espansione ed è quello che alcune aziende con almeno 50 lavoratori in organico, potranno sfruttare per avviare processi di turnover con annessa ristrutturazione aziendale votata alla innovazione. Cosa centra il contratto di espansione con i 20 anni di contribuiti? Tutto dipende dal fatto che la misura prevede un doppio canale di uscita. Il primo riguarda i lavoratori arrivati a 37 anni e 10 mesi di contributi (36 anni e 10 mesi per le donne).

Si tratta di chi è giunto a 5 anni dal completamento della carriera utile alla pensione anticipata ordinaria che si completa con 42,10 o 41,10, rispettivamente per uomini e donne. Il secondo canale riguarda chi è arrivato a 62 anni di età, e pertanto a 5 anni dalla pensione di vecchiaia ordinaria. Per questa misura servono 20 anni di contribuzione minima. E così che anche nel contratto di espansione 20 anni deve essere la contribuzione raggiunta.

Ecco quando i 20 anni non bastano nemmeno a 67 anni

Ci sono misure pensionistiche però che oltre a età e contributi impongono ai diretti interessati delle condiziono aggiuntive. Per esempio a 64 anni di età con 20 anni di contributi versati ci sarebbe la pensione anticipata contributiva. Dove però occorre rispettare due requisiti aggiuntivi. La carriera e i versamenti INPS devono essere scattati non prima del 1° gennaio 1996. E poi la pensione deve essere nel 2022 superiore a 1.300 euro, mentre nel 2023 superiore o di poco inferiore a 1.400 euro. Infatti si va in pensione a condizione che la pensione sia pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale.

Per chi ha iniziato a lavorare nel 1996, oltre al compimento dei 67 anni e ai 20 anni di contributi sarà necessario un altro requisito. Ovvero che la pensione nel 2022 sia pari o superiore a 702 euro al mese. Nel 2023 si arriverà probabilmente a 750 euro. La pensione deve essere pari o superiore a 1,5 volte l’assegno sociale. Senza questo requisito aggiuntivo centrato, niente quiescenza a 67 anni.