Dopo il varo di quota 103 per molti lavoratori c’è una possibilità in più di andare in pensione. La misura permette di andare in pensione una volta raggiunti 62 anni di età e i 41 anni di contributi versati. Come tutte le misure per quotisti varate ultimamente, anche la quota 103 come è evidente, funziona con la somma algebrica di età anagrafica ed età contributiva. Naturalmente raggiungendo i requisiti minimi previsti che ripetiamo, per la quota 103, sono pari alla combinazione 62+41. Ma con la nuova quota 103 il Governo ha deciso di inserire una misura di dissuasione a fruirne in più oltre a quella che impedisce di lavorare fino a 67 anni.

Il lavoratore può optare infatti per una pensione o uno stipendio più alto.

Bonus Maroni attivo di nuovo? anche se non si chiama così, la possibilità esiste

Quindi una ulteriore facoltà che la quota 103 offre di scegliere uno stipendio più alto al posto della pensione. Il Governo ha deciso di dare questa possibilità ai lavoratori che maturano i requisiti per la quota 103 ma senza sfruttarla. Ma cosa significa pensione più alta? una domanda che adesso in molti si pongono. Infatti c’è chi chiede spiegazioni, evidentemente puntando alla possibilità di rimandare l’uscita sfruttando un vantaggio diverso dalla pensione anticipata.

“Gentili esperti, dal momento che a giugno completo i requisiti per la quota 103, ma potrei scegliere di restare ancora in servizio, secondo voi ho l’opportunità di godere dell’aumento di stipendio del Bonus Maroni? Mi sembra che nella manovra finanziaria il Governo Meloni l’ha introdotto di nuovo. E se posso, cosa ci guadagno di stipendio e cosa dovrei fare?”

Il nostro lettore parlando di bonus Maroni commette un errore, ma solo formale perché nella sostanza una misura che somiglia davvero tanto al Bonus Maroni esiste di nuovo. E consente di poter scegliere tra due vantaggi evidenti.

Da un lato la pensione in anticipo, anche di 5 anni rispetto all’età della pensione di vecchiaia. Dall’altro uno stipendio più alto per tutti gli anni che mancano al pensionamento, siano essi i già citati 5 anni dalla vecchiaia o i circa 2 anni per le anticipate (per le quali servono 42,10 anni di versamenti).

La novità 2023, un nuovo incentivo a restare al lavoro come alternativa alla quota 103

Quando con la legge di Bilancio il governo ha deciso di varare la nuova quota 103, fu introdotta anche una agevolazione per chi non sfruttava la misura. La quota 103 è una misura idonea a consentire ai lavoratori di poter accedere alla pensione una volta raggiunta l’età dei 62 anni con 41 anni di contributi versati. L’agevolazione invece riguarda la retribuzione. Infatti è stata introdotta una misura che richiama al cosiddetto bonus Maroni. Il pensiero del Governo fu quello di introdurre una misura idonea a permettere un’uscita anticipata dal lavoro, ma allo stesso tempo di creare un’alternativa per i lavoratori. Una alternativa idonea a rendere meno appetibile la misura.

Sulle pensioni l’operato del Governo è ormai prassi

In genere questa è la linea che il governo utilizza da sempre quando si tratta di varare nuove misure pensionistiche vantaggiose per i contribuenti. In termini pratici si crea una misura che consente il pensionamento anticipato e allo stesso tempo si creano strumenti che spingono il lavoratore a non scegliere l’uscita dal lavoro. A volte la soluzione è quella di penalizzare i pensionamenti anticipati.

Un tipico esempio si ha con Opzione Donna che per via del ricalcolo contributivo dell’assegno penalizza di molto l’assegno delle lavoratrici. Invece con il bonus Maroni ai tempi di uno dei governi Berlusconi si decise di dare un incentivo ai lavoratori che sceglievano di non andare in pensione per restare al lavoro. Nonostante il raggiungimento dei requisiti per la pensione.

Un aumento di stipendio alternativo quindi alla pensione dei lavoratori. Ed è quello che oggi c’è come alternativa alla quota 103.

La novità del Governo sulla pensione con quota 103

Ed è proprio questo che ha fatto l’attuale esecutivo nel varare la quota 103. Da un lato ha inserito questa misura di pensionamento anticipato e dall’altro ha inserito un bonus simile a quello Maroni. Che permette ai lavoratori che scelgono di restare in servizio, di percepire una retribuzione più alta. Di conseguenza tutti coloro che raggiungono i requisiti utili alla quota 103, possono prendere una specie di bonus contributivo sullo stipendio. Al posto dei contributi previdenziali da versare il lavoratore godrà di uno stipendio più elevato.

Rinunciare al versamento dei contributi a carico dello stesso lavoratore è quello che gli interessati possono fare. E la quota di questi contributi, resterebbe nello stipendio percepito, finendo con l’incrementarlo. Naturalmente c’è la controindicazione del minor gettito nel montante contributivo. Perché anche la parte di contributi a carico del lavoratore finisce nel montante contributivo. Significa una futura pensione più bassa. Ma l’appeal di uno stipendio mensile più alto resta.

Non tutti vengono penalizzati dal mancato versamento dei contributi

Ricapitolando, tutti coloro che decidono di continuare a lavorare anche se potrebbero uscire con la quota 103, possono optare per:

  • la rinuncia ai contributi previdenziali a proprio carico;
  • l’aumento dello stipendio in misura pari ai contributi previdenziali a proprio carico non versati.

Deve essere il lavoratore a produrre istanza all’INPS. Il lavoratore deve presentare una domanda con cui chiede che i contributi a suo carico restino caricati nella busta paga. Perché se resta al lavoro senza comunicare nulla, la sua carriera e i suoi versamenti proseguiranno normalmente. L’interessato deve sapere che il surplus di stipendio non sarà esattamente uguale all’importo dei contributi che lo stesso avrebbe dovuto versare.

Infatti bisogna considerare le tasse, cioè l’IRPEF e le relative addizionali regionali e comunali.

Inoltre ci sono lavoratori che godono del taglio del 2% o del 3% sui contributi da versare. Parliamo di un’altra agevolazione che è stata introdotta dal governo e che riguarda i lavoratori con redditi più bassi. In questo caso l’aumento in busta paga sarà pari ai contributi non versati al netto dello sgravio. Perché il bonus riguarda i contributi che effettivamente un lavoratore non versa. Ma se come retribuzione lo sgravio contributivo produce un danno, come previdenza è esattamente l’opposto. Perché anche se meno ricchi, chi continua a versare i contributi al netto dello sgravio è come se versa i contributi interi.