Quando muore un pensionato, il coniuge o altri parenti che rientrano nel perimetro della reversibilità hanno diritto a ricevere il trattamento per i superstiti. Si tratta di un trattamento particolare, che eroga una parte della pensione che il defunto percepiva in vita ai superstiti che hanno le condizioni giuste per riceverlo.

Ma a volte si corrono dei rischi inconsapevolmente, rischi di perdere la reversibilità. I casi in cui si corrono questi rischi sono molteplici. Ecco quando questo può accadere.

Pensione ai superstiti e reversibilità: ecco quando rischi di perdere la pensione di tuo marito

La pensione di reversibilità non è altro che quel trattamento che viene riservato dall’INPS ai familiari superstiti di un pensionato deceduto.

In genere va a finire al coniuge, ma non mancano altri familiari che, a determinate condizioni, possono ricevere il trattamento.

Molto dipende dalla tipologia di soggetto che ha diritto alla reversibilità, sia come diritto sia come importi. Per esempio, al coniuge superstite in generale spetta il 60% del trattamento del defunto quando era in vita.

Se al coniuge superstite si affianca un figlio, minore, invalido e in ogni caso a carico del defunto quando era in vita, al 60% si aggiunge un altro 20% per ogni figlio. Ciò che incide fortemente sul diritto e sul calcolo della prestazione è il reddito personale dei superstiti, come previsto dalla riforma contributiva delle pensioni di Lamberto Dini, cioè dalla Legge 335 dell’8 agosto 1995.

Revoca, tagli e riduzioni per le pensioni di reversibilità: ecco quando ciò accade

Gli importi spettanti di reversibilità per un superstite, nonché il diritto a rientrare tra i beneficiari della pensione di reversibilità, dipendono dalla condizione economica del beneficiario. Proprio la condizione economica del beneficiario è tra le maggiori motivazioni che portano un titolare di reversibilità a perderla.

Ripetiamo: al coniuge superstite in genere spetta il 60% della pensione goduta in vita dal defunto.

Se con il coniuge sono presenti figli, si aggiunge al 60% spettante al coniuge il 20% per ogni figlio. Fino ad arrivare al 100% di reversibilità. Senza coniugi superstiti, se c’è solo un figlio che può beneficiare della reversibilità, la percentuale di pensione a lui assegnata rispetto al totale percepito dal defunto scende al 70%.

Perché perdere il diritto al trattamento ai superstiti non è una cosa rara

In linea di massima, si perde il diritto alla reversibilità quando il coniuge superstite e titolare della pensione del marito convola a nuove nozze. Se invece il superstite percepisce la reversibilità in quanto disabile e a carico del defunto quando era in vita, la reversibilità viene meno se viene meno l’inabilità.

In altri termini, se l’inabile risolve i problemi di salute che lo hanno portato a quella condizione, la reversibilità viene revocata. La stessa sorte tocca alla pensione di reversibilità percepita dai figli studenti nel momento in cui superano i 21 anni di età. E dallo studio passano al percorso lavorativo. Inoltre, i figli perdono il diritto alla reversibilità al compimento dei 26 anni, a prescindere dai percorsi lavorativi avviati o dal fatto che interrompano o concludano gli studi.

Ecco le soglie reddituali e cosa ha stabilito la Corte Costituzionale

Tornando ai limiti reddituali che possono comportare la riduzione della reversibilità spettante o la revoca della misura, ogni anno l’INPS calcola le soglie di reddito da usare come limite. Solo per il coniuge superstite beneficiario della reversibilità che ha fino a 23.345,79 euro annui, non sono previsti tagli alla reversibilità.

Per soggetti con redditi tra i 23.345,80 e i 31.127,72 annui, il taglio è del 25%. Il taglio sale al 40% per redditi da 31.127,73 a 38.909,65 annui, e al 50% per redditi superiori. Va detto, però, che la Consulta, con la sentenza numero 162 del 30 giugno 2022, ha stabilito una specie di salvaguardia.

Ha sancito infatti che la pensione di reversibilità non può mai essere ridotta di un importo superiore a quello del reddito aggiuntivo del titolare.