Partendo dal presupposto che non sempre a 67 anni di età si può andare in pensione con la quiescenza di vecchiaia, oggi affrontiamo il caso di un nostro lettore che si trova quasi ad aver raggiunto l’età pensionabile ma senza la giusta carriera contributiva utile alla pensione di vecchiaia. Rispondendo al quesito del nostro lettore analizzeremo le varie alternative che si possono configurare davanti a questa particolare situazione in cui è incappato. Che non è una situazione anomala ed è invece è assai diffusa.

“Buongiorno, sono Francesco un lavoratore che a fine agosto compie i 67 anni di età. Mi trovo con diciannove anni e quattro mesi di contributi versati e quindi privo di quella carriera che serve per raggiungere la pensione di vecchiaia. Io non ho più intenzione di lavorare anche perché ho delle condizioni di salute che non me lo consentono. E a prescindere dal fatto che lo Stato italiano non mi consideri invalido. Inoltre, proprio per via della mia precaria condizione di salute, il datore di lavoro non mi vuole più tenere. Cosa posso fare adesso per interrompere la carriera?”

Cosa fare per andare in pensione a 67 anni se mancano pochi mesi di contributi

Un caso particolare quello del nostro lettore ma non certo una rarità nel sistema previdenziale italiano. Dal momento che molte delle misure pensionistiche in vigore prevedono il raggiungimento di una giusta carriera e di un altrettanto giusta età pensionabile, al venire meno di uno dei due requisiti la pensione non è fruibile. Cosa significa tutto ciò? Significa che un lavoratore anche se per qualche mese, come il nostro lettore ci dimostra, può non riuscire ad andare in pensione nonostante si parli della pensione di vecchiaia che è una misura ordinaria del sistema con tanto di età pensionabile prevista.

Rispondendo a Francesco che ci scrive sottolineando la sua problematica, va detta una cosa immediatamente.

Per lui la pensione a 67 anni se intende quella di vecchiaia non può essere presa perché gli mancano alcuni mesi per arrivare ai vent’anni di contributi necessari. Va detto però che le vie per lasciare il lavoro nelle sue condizioni esistono. Alcune praticabili indipendentemente dalla volontà del datore di lavoro e altre che, invece, necessitano dell’avallo di quest’ultimo.

Prosecuzione volontaria, Naspi o assegno sociale, le vie per la pensione a 67 anni senza la giusta carriera contributiva o se mancano pochi mesi di contributi

La prima cosa che può fare il nostro lavoratore per arrivare a vent’anni di contributi versati e chiedere all’INPS la prosecuzione volontaria. Arrivando, se autorizzato dallo stesso Istituto, al versamento autonomo dei mesi di contribuzione mancanti che ha. Se ha liquidità quindi, può provvedere a pagare subito questi contributi che gli mancano in modo tale da poter accedere alla quiescenza poco dopo i 67 anni di età. Questo dal momento che dice di compiere i 67 anni di età il 31 agosto e che quindi è già in ritardo da questo punto di vista. La prosecuzione volontaria dei contributi però prevede che sia lo stesso lavoratore a pagare di fatto i contributi che poi serviranno per la sua pensione futura.

Aspettare o passare all’assegno sociale?

Un’alternativa sarebbe lasciar perdere i contributi versati e quindi lasciar perdere la pensione di vecchiaia. In questo caso il nostro lavoratore potrebbe puntare l’assegno sociale. Si tratta della prestazione assistenziale dell’INPS che per il 2023 vale 503 euro al mese. In questo caso bisogna verificare la situazione reddituale del lavoratore perché se è a reddito zero può godere dell’assegno sociale in misura intera altrimenti lo può prendere in misura ridotta. Va detto però che rispetto alla pensione di vecchiaia che prenderebbe a 20 anni che grosso modo, non avendo comunque chiara la situazione contributiva del lavoratore, sfiorerebbe i 600 euro, l’assegno sociale è più basso.

Assegno sociale ok, ma non chiamatela pensione

L’assegno sociale è una prestazione assistenziale da non confondere con la pensione. Perché è collegata a determinate condizioni reddituali del beneficiario e del suo coniuge se c’è. Quindi, la pensione diventa vita natural durante, l’assegno sociale no. Scegliendo l’assegno sociale o i versamenti volontari il lavoratore può dare le dimissioni dal lavoro il 31 agosto e diventare pensionato dal primo giorno del mese successivo con l’assegno sociale o dal completamento dei versamenti volontari per la seconda via. Una soluzione alternativa che potrebbe essere fruibile se il datore di lavoro acconsente è quella della disoccupazione indennizzata INPS.

Anche la Naspi in aiuto per la pensione

In questo caso, ipotizzando che il nostro lavoratore sia in servizio con questo datore di lavoro da diversi anni, può godere della Naspi. Indennità per disoccupati che può valere per la metà delle settimane lavorative svolte durante gli ultimi quattro anni. In teoria il lavoratore può arrivare a completare i vent’anni di contributi versati grazie ai mesi di contribuzione figurativa provenienti proprio dalla Naspi. In questo caso, come dicevamo, serve l’avallo dei datori di lavoro perché in sede di dimissioni volontarie dal rapporto di lavoro la Naspi non può essere percepita. Significa che è un lavoratore per godere della naspi deve essere licenziato o deve aver dato le dimissioni per giusta causa.

Naspi, licenziamento e ticket a carico del datore di lavoro, ecco le insidie di questa via per completare la contribuzione

Queste le vie per il nostro lettore. Il suo datore di lavoro quindi deve licenziarlo in modo tale da consentirgli di fruire della Naspi dal momento che l’interesse di entrambe le parti è quello di interrompere il rapporto di lavoro il 31 agosto prossimo. Se il datore di lavoro licenzia l’operaio, questo può prendere la Naspi fino a completare i mesi che gli mancano per i vent’anni di contributi versati.

In quel caso al termine dell’indennità di disoccupazione, potrà andare in pensione con la quiescenza di vecchiaia.

Decorrenza del trattamento dopo la Naspi

La pensione quindi non avrà decorrenza a partire dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento dei 67 anni di età, ma al termine della Naspi stessa. Questa strada potrebbe essere difficilmente percorribile se il datore di lavoro non vuole licenziarlo anche perché c’è da fare i conti con il ticket licenziamento. Parliamo di quel contributo che un datore di lavoro deve versare a nome del lavoratore all’INPS in base agli anni di lavoro svolti dallo stesso. Il ticket licenziamento è obbligatorio e serve a finanziare proprio la Naspi che il lavoratore andrà a percepire.