Pensione futura sempre più bassa? Il requisito contributivo minimo per ottenere la rendita Inps in Italia è di 20 anni. Vale a dire che bisogna lavorare almeno 20 anni per maturare il diritto alla pensione quando si raggiungerà la soglia anagrafica richiesta, al momento 67 anni di età. Non è una novità, è così da sempre. E si spera che le cose non cambieranno col tempo.

Tuttavia 20 anni contributi nel secolo scorso davano origine a una pensione dignitosa, seppur bassa. Oggi, nel sistema di calcolo contributivo, quello che coinvolge tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995, le cose sono cambiate.

Il livello della pensione con la contribuzione minima non sarà tale da generare una rendita pubblica adeguata. Si rischia, infatti, di scivolare in povertà pur avendo lavorato almeno per metà della carriera. Ma vediamo bene come stanno le cose.

Pensione futura sempre più bassa

Una domanda semplice viene spontanea: quanto prenderemo di pensione se lavoriamo 20 anni? Difficile dare una risposta precisa per una pensione futura sempre più incerta, tuttavia, a oggi, possiamo tranquillamente affermare che con 20 anni di contribuzione non si otterrebbe tanto di più dell’importo previsto per l’assegno sociale che è di 534,41 euro al mese. Vale quindi la pena spaccarsi la schiena?

Questo ragionamento fa indignare i nostri predecessori, abituati a farsi 40 ore di lavoro alla settimana in fabbrica per ottenere una pensione dignitosa. I tempi, però, sono letteralmente cambiati e quello che un tempo era garantito oggi non lo è più. Il lavoro precario, saltuario e, soprattutto, mal pagato, incide molto sul calcolo della pensione futura.

Poi la matematica non mente. Basta fare due calcoli per capire a cosa va incontro un giovane lavoratore. Ad esempio, un lavoratore che guadagna oggi 20.000 euro all’anno, dopo 20 anni di lavoro, avrà maturato un montante contributivo tale che a 67 anni di età genererà una pensione inferiore a 600 euro al mese.

Questo con i parametri che possiamo applicare oggi, poi non è detto che in futuro le cose possano cambiare e migliorare.

Dall’assegno sociale al trattamento minimo

Chi, invece, potrà vantare all’età di 67 anni almeno un contributo settimanale versato prima del 1996 avrà diritto all’integrazione al trattamento minimo di pensione. Cifra che oggi vale 614 euro al mese per tredici mensilità (pensione minima). In pratica coloro che dopo 20 anni di lavoro non arrivano a questa soglia di pensione futura, potranno chiedere all’Inps il riconoscimento di un bonus aggiuntivo fino all’importo di cui sopra.

Ricordiamo che l’integrazione al trattamento minimo è una misura assistenziale introdotta dalla legge 638/1983. Tutela i pensionati, al di sotto di un determinato livello di reddito, il cui assegno pensionistico non è sufficiente a garantire una vita dignitosa. Val bene nei casi in cui il livello dei salari è alto e/o qualora non vi sia inflazione, ma non nel caso contrario.

In entrambi i casi, sia prendendo come riferimento l’importo dell’assegno sociale che quello del trattamento minimo, è evidente che il livello delle pensioni future basate su 20 anni di lavoro in condizioni normali tende a convergere verso le soglie dell’assistenza minima.Cioè quel “minimo vitale” che lo Stato garantisce a tutti per evitare lo sprofondamento nella povertà.

Riassumendo…

  • Con 20 anni di lavoro si ottiene una pensione equivalente all’importo dell’assegno sociale.
  • Il lavoro saltuario, precario e mal pagato non permette di garantirsi un futuro dignitoso.
  • Per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996 c’è il diritto al trattamento minimo di pensione.