Con i contributi che paga chi oggi lavora si pagano le pensioni per chi oggi ha smesso di lavorare. Lo sanno tutti che è su questo sistema che si mantiene la previdenza italiana. Se dovesse collassare collasserebbe anche l’INPS. Il risultato è che finirebbero i soldi per pagare le pensioni di adesso e di domani.

La cosa più preoccupante però è il futuro. Chi pagherà le pensioni ai lavoratori di oggi? Soprattutto con un mondo del lavoro in cui c’è sempre meno occupazione e tanta precarietà?

Ed i dati allarmanti provengono anche dal Decimo Rapporto – “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano – Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2021“,

Un unico strumento in grado di racchiudere in un solo documento sia una visione d’insieme del complesso sistema previdenziale italiano (inteso nell’accezione più ampia del termine) sia una riclassificazione all’interno del più ampio bilancio dello Stato della spesa sostenuta per il welfare, che rappresenta oltre la metà dell’intera spesa pubblica.

Così lo presenta il comunicato stampa itinerariprevidenziali.it

Alcuni dati su lavoro e pensioni

Il documento fornisce indicatori utili non solo a valutare i bilanci correnti ma anche a definire la sostenibilità di medio e lungo termine del sistema previdenziale italiano.

Alcuni dati riguardano il rapporto tra gli abili al lavoro e quelli effettivamente occupati. Su 36 milioni di italiani in età da lavoro, i dipendenti e gli autonomi che lavorano sono 23 milioni. Una differenza di 13 milioni di individui. Il dato non è incoraggiante se si considera anche il fatto che dal computo sono esclusi coloro che sono in cassa integrazione e gli inattivi.

I pensionati sono 16 milioni di persone.

Il rapporto ideale tra lavoratori e pensionati

Secondo quanto emerge dallo studio, affinché il sistema pensionistico del nostro Paese regga è necessario mantenere un rapporto di 3 a 2. Quindi, tre lavoratori ogni due pensionati.

Insomma un rapporto attivi/pensionati di 1,5.

Attualmente, invece, siamo ancora a 1,42. Un rapporto che non è molto distante da quello ideale ma che deve fare i conti con l’attuale e futura condizione del mondo lavorativo.

Ricordiamo che si tratta di dati basati sulla situazione in essere alla fine del 2021. Oggi siamo agli inizi del 2023. Chissà in un solo anno se il gap si è ridotto. Lo sapremo solo nel 2024 quando ci sarà lo studio sui dati del 2022. In questo si dovranno vedere anche gli effetti di Quota 102 ed i primi effetti di Quota 103.

Quota 102, ricordiamo, è quel sistema di pensionamento anticipato che permette di uscire anticipatamente dal mondo del lavoro, a chi entro il 31 dicembre 2022 ha maturato 64 anni di età e 38 anni di contributi.

La Quota 103, invece, fa il suo debutto nel 2023 e permetterà di andare in pensione a chi, entro il 31 dicembre 2023, maturerà 62 anni di età e 41 anni di anzianità contributiva.