Una cosa che finirà con il penalizzare pesantemente molti lavoratori che dovranno andare in pensione nei prossimi anni è il fatto che le pensioni contributive sono tremendamente limitate da vincoli e ristrettezze che molti non considerano. Con un sistema che taglia nettamente le pensioni e che limita le possibilità di pensionamento, le problematiche a cui devono fare fronte i lavoratori sono sempre tante. Una nostra lettrice, per esempio, non comprende la motivazione per la quale l’INPS non gli ha concesso la pensione a 67 anni.

Nonostante 20 anni di contributi versati la nostra lettrice ha ricevuto la reiezione della domanda. Il nodo è l’importo della prestazione e adesso vedremo perché l’INPS opera in questo modo sulle pensioni contributive.

“Buonasera, sono Michela e sono una lavoratrice che si trova di fronte a una situazione davvero particolare e cioè che la mia pensione a 67 anni non verrà liquidata. Ho compiuto 67 anni a gennaio, 23 anni di contributi accumulati e niente da fare. La mia pensione non rispetta il minimo prestabilito. Perché noi che abbiamo iniziato a lavorare dopo il 1996 veniamo così pesantemente penalizzati? Mia madre prende 550 euro di pensione al mese, ma almeno la prende. Io invece mi trovo con 23 anni di contributi praticamente inutili. Per lo meno me li restituissero visto che li ho versati io.”

Niente pensione a 67 anni, e i contributi non vengono restituiti

Uno sfogo molto importante quello della nostra lettrice. Perché effettivamente una delle situazioni più paradossali del sistema pensionistico italiano è proprio quella che riguarda le pensioni contributive, che vengono penalizzate in diversi aspetti. Esistono comunque anche dei vantaggi per chi ha iniziato a lavorare solo dopo il 31 dicembre 1995 e ricade completamente nel sistema contributivo. Ma oggettivamente, sono più gli svantaggi che i vantaggi. E la nostra lettrice è una di quelle a cui il sistema riserva penalizzazioni. Perché stando a quello che ci dice, la sua pensione a 67 anni non può essere pagata e probabilmente solo a 71 anni avrà l’età giusta per la  pensione.

Se non ha redditi superiori alle soglie previste, adesso potrà optare per l’assegno sociale. Una misura assistenziale che vale 503 euro al mese per 13 mesi e che prescinde dai contributi che ha versato. Resta il fatto che effettivamente oggi i suoi 23 anni di contributi non servono a nulla. E non possono essere restituiti dall’INPS come la nostra lettrice, probabilmente in maniera provocatoria, scrive. Addirittura ci sono contributi che diventano “silenti”, nel senso che non essendo utilizzati dal diretto interessato, restano all’INPS che li ha incassati e non li ha restituiti tramite rendita ai lavoratori.

I contributi silenti, ecco cosa sono

Il caso dei contributi silenti è noto a tutti. Una situazione questa che si materializza soprattutto per chi non raggiunge i contributi minimi per la pensione di vecchiaia e quindi, optando come dicevamo, per l’assegno sociale, “regala” i contributi che ha versato all’INPS. Ma questo accade anche per chi, avendo comunque maturato il diritto a una pensione, non utilizza contributi versati in casse previdenziali diverse da quella che ha liquidato la prestazione. Magari perché non vuole spendere soldi per riscattare questi contributi. Il caso dei contributivi, cioè di chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 è diverso. Perché i contributi non possono essere sfruttati a 67 anni di età, come ci dimostra la nostra lettrice, ma a 71 sicuramente sì.

Il vincolo sull’importo del trattamento pensionistico

Esiste un vincolo di importo della pensione per i contributivi puri. E parlando di pensione di vecchiaia, questo vincolo può sembrare assurdo ai più. Infatti per la pensione di vecchiaia contributiva serve che la pensione sia liquidata in misura pari o superiore a 754,90 euro al mese.

Significa una pensione quanto meno pari ad 1,5 volte l’assegno sociale che nel 2023 è fissato a 503,27 euro. A 71 anni questo vincolo scompare. E la pensione si distacca dal limite di importo. La lettrice deve ripresentare domanda anche l’anno venturo. Soprattutto se continua a lavorare. Perché magari, con un anno in più di contributi, potrebbe arrivare a superare i 754,90 euro al mese previsti (anche se nel 2024 questa soglia dovrebbe salire in virtù dell’indicizzazione dei trattamenti INPS).

Vantaggi e svantaggi dei contributivi puri in materia previdenziale

Ma perché le pensioni contributive sono differenti come requisiti da quelle retributive? Si parte dalle differenze sostanziali tra i trattamenti spettanti. Perché tra sistema misto e sistema contributivo, cambia molto. Il lavoratore che ha iniziato a lavorare prima del 1995 prende la pensione a 67 anni di età con 20 anni di contributi versati. E senza badare all’importo della prestazione. Una cosa che ai contributivi puri come abbiamo detto è negata. Per questi però c’è anche il vantaggio della pensione anticipata contributiva che può essere percepita già 64 anni di età  sempre con 20 anni di contributi versati. Ma a condizione che la pensione liquidata, in questo caso, sia pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Inoltre, chi ha iniziato a lavorare prima dei 18 anni di età può far valere 1,5 volte ogni anno di contributi versati prima della maggiore età.

Pensione troppo bassa e l’INPS la nega al pensionato, ecco perché accade

Tornando agli svantaggi, che riguardano anche la nostra lettrice, tutto parte da un’altra differenza tra la pensione di vecchiaia contributiva rispetto a quella mista. Nel secondo caso è possibile ottenere le maggiorazioni sociali. Una cosa che per le pensioni contributive non si applica. In pratica il lavoratore che ricade nel sistema misto e matura un diritto ad una pensione troppo bassa di importo può godere di alcune cifre aggiuntive. Surplus di importo che proviene proprio da queste maggiorazioni sociali. Per i contributi puri non essendoci il diritto alle maggiorazioni, l’INPS non eroga una pensione troppo bassa.