L’età pensionabile delle pensioni ordinarie non cambia. Nel 2023 si andrà ancora in pensione a 67 anni o, in alternativa, con 42 anni e 10 mesi di contributi (12 mesi in meno per le donne) indipendentemente dall’età.

A chiarirlo è l’Inps con la circolare n. 28 del 18 febbraio 2022 che recepisce le disposizioni del decreto del Ministero dell’Economia e del Lavoro in tema di pensioni. Il governo ha infatti certificato che l’aspettativa di vita non è aumenta.

La circolare Inps e l’età della pensione

Cosa significa questo? In pratica l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita resta congelato fino al 2024 a causa della pandemia che ha frenato l’aumento della longevità della popolazione.

L’anno prossimo, dunque, si andrà ancora in pensione al compimento di 67 anni. Il requisito anagrafico, legato alle aspettative di vita, non aumenta come sarebbe dovuto accadere per legge. L’alta mortalità causata dal covid ha ridotto le speranze di vita degli italiani di 1,2 anni per una vita media che oggi si attesta intorno agli 82 anni (79,7 per gli uomini e 84,4 per le donne).

La corsa al rialzo dell’età pensionabile riprenderà, quindi, nel 2025 (3 mesi in più) per raggiungere il limite fissato dalla Fornero a 68 anni nel 2031. Da lì in avanti gli incrementi, sempre legati alla speranza di vita, passeranno da 3 mesi a 2 mesi ogni biennio fino al 2054.

Il governo tace o non sa cosa fare?

Fin qui niente di nuovo, se non il fatto che il governo sta lavorando a una riforma pensioni che deve tenere conto anche di questo imprevisto aspetto. Benché le pensioni anticipate siano entrate nel mirino dell’esecutivo, non si sa ancora bene cosa intende fare il premier Draghi.

Finora si è limitato a dire che qualsiasi manovra dovrà essere finanziariamente sostenibile. Ma niente di più. Posto dunque che le regole Fornero per le pensioni ordinarie non saranno toccate, bisogna capire quanto spazio di manovra c’è per rivedere quelle anticipate.

Le intenzioni del governo sono quelle di concedere la pensione anticipata a tutti a partire dai 64 anni ma col ricalcolo contributivo dell’assegno. I sindacati vorrebbero l’uscita a 62 anni e quota 41 per tutti.

Le parti restano ancora distanti, ma è imprescindibile che per la riforma pensioni anticipate bisognerà tenere conto anche del fatto che la speranza di vita non è cambiata. Quindi tagliare di troppo le rendite, come chiede il governo, sarebbe sbagliato.